Sgominato il fortino dei rom a Catanzaro, la latitanza del capo degli zingari e la complicità dell’imprenditore

Il capo degli zingari poteva contare sul suo esercito, famiglia compresa per coprire una latitanza durata sei mesi

Era considerato il capo degli zingari, l’uomo che impartiva direttive al clan e i cui membri, famiglia compresa, hanno offerto supporto logistico durante la sua latitanza: dal covo, ai soldi, al cibo, agli spostamenti, sostentamento che non è mancato nemmeno quando è finito dietro le sbarre. Luigi Vecceloque  Pereloque, alias “U Marocchino” aveva una serie di soldati su cui contare quando il 29 ottobre 2018, decide di scappare dall’ordine di esecuzione di carcerazione emesso dalla Procura generale della Corte di appello di Catanzaro, per l’espiazione della pena di 2 anni, 7 mesi e 24 giorni di reclusione per associazione di tipo mafioso, danneggiamento a seguito di incendio, furto, estorsione, usura, ricettazione, armi e droga.  Una latitanza durata ben sei mesi, fino al 9 maggio 2019, quando l’uomo decide di costituirsi. Emergono ulteriori dettagli dal maxi blitz della Dda di Catanzaro, che ha portato la Mobile ad eseguire 62 arresti, di cui 38 in carcere e 24 ai domiciliari (LEGGI), nell’ambito di un’inchiesta che ha registrato complessivamente un numero di 84 indagati (LEGGI)  

I soldati al servizio del capo degli zingari

I soldati al servizio del capo degli zingari

Nel corso della sua latitanza, Vecceloque, è stato aiutato da Ernesto Bevacqua, che lo ha supportato nei suoi spostamenti, accompagnandolo in un’occasione dal nascondiglio fino alla sua abitazione, da Rocco Candiloro, che lo avrebbe coperto nel contattare i suoi familiari e a reperire il cibo per garantirgli il sostentamento. Ma c’era un complice che gli dava soldi e gli assicurava l’energia elettrica: l’imprenditore edile, Antonio Paradiso, residente in una villa ubicata di fronte al rifugio del latitante, un covo, situato a piano terra in uno stabile in costruzione con tanto di camera da letto, un tavolo, una sedia, un televisore e un’antenna portatile.

La caccia al latitante e l’imprenditore “colluso”

La Polizia giudiziaria si  mette a caccia del latitante e il 13 dicembre 2018, nel corso di un servizio di osservazione, arrivano nei pressi di un noto hotel in località Germaneto, vedono Vecceloque e notano Rocco Candiloro entrare in albergo con due buste di plastica voluminose e mettere in contatto il latitante con la moglie Rita Amato tramite il suo cellulare. Alle 15.05 di quello stesso giorno Candeloro si allontana dall’albergo senza le due buste di plastica. La pg fa irruzione nello stabile, ma il latitante riesce a dileguarsi e gli investigatori fissano un’auto con a bordo Antonio Paradiso che si allontana frettolosamente dalla propria casa sita di fronte allo stabile in cui si era rifugiato Vecceloque per poi farvi ritorno dopo qualche minuto. La polizia delegata alle indagini trova il covo del ricercato, vedono le due buste portate da Candeloro e un cavo di corrente elettrica, proveniente dai locali del deposito dei materiali da cantiere di proprietà di Antonio Paradiso, ubicati a breve distanza dalla struttura dove era stato ricavato il nascondiglio del latitante, il quale riceveva energia elettrica grazie a quel cavo. Si susseguono tutta una sere di conversazioni intercettate tra Candoloro e la moglie del latitante, che commentano l’irruzione della pg. 

Le conversazioni intercettate e i soldi consegnati al capo clan

Ci sono diversi dialoghi che testimoniano come l’imprenditore Paradiso non si fosse mai tirato indietro per rinvigorire la bacinella del clan. In una conversazione del 24 marzo 2019 Luciano Bevilacqua, 35 anni, parla con Massimo Bevilacqua, alias U Malloscio e Ernesto Bevilacqua, 48 anni, delle modalità di spartizione del denaro, e il primo racconta a quest’ultimo di aver incontrato Vecceloque in possesso di 3.500 euro, somma consegnatigli da Antonio Paradiso detto Toni. Nonostante qualche malumore per l’entità della somma data al latitante, i tre si sono trovati d’accordo sul fatto che in quel momento il loro capo aveva più bisogno di denaro viste le circostanze in cui si trovava.  Nel corso dello stesso dialogo Luciano Bevilacqua, riferisce dell’incontro con suo fratello Massimo e Paradiso, il quale lo aveva assicurato che non appena riscuoteva 5mila euro una parte di questi soldi sarebbe stata destinata al clan. Ma anche dopo l’ingresso in carcere di Vecceloque si sono registrate altre conversazioni dalle quali è emerso che i membri del clan continuavano a provvedere al suo sostentamento mediante somme di danaro provenienti in parte da attività illecite, in parte da Paradiso. 

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