“Un atto gravissimo, il fatto ignobile di ieri sera non è solo un attacco alle forze dell’ordine ma a tutta la città”. Lo dice Ermanno Cennamo, sindaco di Cetraro, dove ieri sera ignoti hanno sparato contro l’auto privata del maresciallo Orlando D’Ambrosio, comandante della locale stazione dei carabinieri. Il fatto si è consumato in pieno centro, davanti alla caserma dei militari, intorno alle ore 19.30, mentre ancora c’erano dei negozi aperti e gente per strada.
“Nessun passo indietro”
“Nessun passo indietro”
Proprio pochi giorni fa i carabinieri avevano eseguito a Cetraro e sull’alto tirreno cosentino una vasta operazione antidroga, con molti arresti, contro un’organizzazione vicina alla cosca di ‘ndrangheta dei Muto, storica consorteria criminale egemone sul territorio. “Noi non facciamo passi indietro, vogliamo continuare nel senso del rispetto delle regole – ha detto ancora il sindaco – e convocheremo un Consiglio comunale aperto a tutte le forze democratiche della città, e speriamo che questi vigliacchi e balordi siano subito arrestati”. Per la mattinata di oggi è stato promosso un sit-in da Libera, a dire il vero non molto partecipato se non dai sindaci del territorio, i gruppi scout e i referenti di Libera. C’era anche il presidente della Commissione antimafia Nicola Morra.
Le parole di Morra
“Hanno permesso che la mafia calabrese diventasse la mafia più ricca in Italia e forse al mondo – ha detto Morra – in un territorio che è diventato quello più povero d’Europa, quindi quanto più noi registriamo successi della ‘ndrangheta, tanto più constatiamo l’impoverimento del nostro territorio, che è dato dalla sottrazione di diritti”. Don Ennio Stamile, referente calabrese di Libera, dice “noi non vorremmo essere in prima linea, ma dobbiamo esserlo, dove accadono fatti di una violenza inaudita”. “Sparare a quell’ora vuol dire non solo attentare allo Stato, ma significa anche mettere a rischio i passanti, – ha detto don Ennio – ignari di questi criminali ed è soprattutto importante saper leggere il linguaggio di questi gesti, frutto di una cultura mafiosa che qui è radicata da più di 40 anni, radicata dal clan Muto”.