Spirlì contrattacca: “Non torno indietro, sono accuse da regime”

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“Devo chiedere scusa a qualcuno per le mie parole? Assolutamente no, dovrei riceverle io le scuse. Io sto solo dicendo che ci sono parole che vanno tutte quante tutelate, usarle è a discrezione delle persone, ma non si può vietare agli italiani di usare il dizionario, vale per ‘ricchione’ e tutti gli altri termini”. E’ quanto afferma il vicepresidente leghista della Regione Calabria, Nino Spirlì, assessore alla Cultura della Giunta Santelli, in merito al caos creato per avere utilizzato termini quali “ricchione”, “negro” e “zingaro”.

“Accuse da regime”

“Accuse da regime”

“Difendo il diritto di dire tutte le parole anche se poi non le dico. Sono accuse da regime”, replica Spirlì agli attacchi delle associazioni pro Lgbt ed alla sinistra che ne richiede la rimozione dagli incarichi istituzionali. “Siamo di fronte a una trappola, si vuole cancellare parte della cultura italiana, le parole possono avere anche un significato pesante. Ma è una cosa discrezionale, compete alla persona. Altrimenti si arriva a un dizionario che permette l’utilizzo di solo 200 parole, quelle che piacciono al regime”. “Se mi dicono “ricchione” – continua il vicepresidente – non lo sento dispregiativo, se me lo dicono in maniera tranquilla, tra amici capita per gioco, di dirselo, ‘ricchio’come stai?’. Il problema non è la parola, ma l’intenzione, l’eventuale violenza”.

“La lingua è il massimo strumento di identità di un popolo”

“E’ come dire che gli spaghetti alla puttanesca non si possono fare, perché si offendono le prostitute. Non possiamo rinunciare a una parte della nostra identità, la lingua è il massimo strumento di identità di un popolo”, ribadisce. E replica così a chi, come il M5Sin Calabria, chiede le sue dimissioni: “Loro dovrebbero trovare un bell’inginocchiatoio e chiedere scusa agli italiani per quello che hanno promesso e non hanno ottenuto, pensassero alle rogne che hanno in casa, non a me. Spirlì non è un povero demente che si sveglia al mattino e dice quattro cazzate. Delle parole io – conclude – ne ho fatto una professione, sono stato pagato per questo“.

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