La Corte di Cassazione, su ricorso degli avvocati Giuseppe Di Renzo e Tommaso Zavaglia, ha annullato l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Catanzaro che aveva rigettato l’appello cautelare proposto dall’anziano boss dell’omonima famiglia di Limbadi e Nicotera, Antonio Mancuso, con il quale si chiedeva la revoca e subordinatamente l’attenuazione della misura cautelare applicata nei suoi confronti nell’ambito del procedimento penale relativo all’estorsione ai danni del commerciante di Nicotera Carmine Zappia.
“Detenuto in condizioni inumane e degradanti”
“Detenuto in condizioni inumane e degradanti”
La difesa di Mancuso ha lamentato a più riprese che il proprio assistito fosse detenuto in condizioni “inumane e degradanti” in ragione delle plurime patologie di cui è affetto e quindi in violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Il Tribunale di Catanzaro aveva rigettato l’appello ritenendo l’anziano boss compatibile con il regime di massimo rigore. Contro questo provvedimento veniva proposto ricorso per Cassazione con il quale si denunciava che il Tribunale aveva valutato esclusivamente la possibilità di assicurare le cure all’interno della struttura penitenziaria senza valutare l’ulteriore profilo della compatibilità carceraria “in ragione dei patimenti ulteriori cui il cautelato è costretto per via delle patologie di cui soffre”. Sotto diverso profilo veniva dedotta l’omessa nomina di un perito che accertasse la compatibilità carceraria.
Annullamento con rinvio
Accogliendo quando sostenuto dagli avvocati Di Renzo e Zavaglia, la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro imponendo un nuovo pronunciamento che tenga conto delle censure difensive. Nel frattempo, su diversa istanza difensiva, la Corte d’Appello di Catanzaro ha gradato la misura cautelare applicando nei confronti di Mancuso gli arresti domiciliari.