Stangata alla locale di Cirò, apparecchiature sofisticate e app per neutralizzare le microspie

Le intercettazioni degli affiliati per evitare di essere scoperti dai carabinieri: "una parola in meno vi costa quanto un anno di carcere in meno"

di Gabriella Passariello- La ‘ndrangheta di Cirò aveva specifici luoghi deputati a fungere da vere e proprie basi logistiche: un bar o meglio un circolo e  un autoricambi. E le basi operative erano una necessità, tant’è vero che parlando della cosca Corigliano ci si lamentava delle difficoltà a confrontarsi con i loro membri : “Eh il cazzo delle cose te le devi fare da solo! Però non sai … dove andare… li trovi sti cristiani?… Se c’era un punto…un coso… mi mettevo in macchina… al fresco e ci andavo io… quello è il problema… non sai dove cazzo devi andare”. E’ quanto emerge dalle carte dell’inchiesta della Dda di Catanzaro, coordinata dal procuratore Nicola Gratteri, che ha portato a 31 arresti e all’avviso di garanzia per sei indagati (LEGGI),  contro la locale di ‘ndrangheta Farao-Marincola di Cirò e della sua articolazione di Strongoli. Anche il modo di comunicare rispondeva a logiche ben precise, il linguaggio criptato e allusivo non sempre era confacente ai piani della cosca e gli affiliati si erano ben attrezzati per dialogare in maniera più esplicita e dettagliata su questioni di ‘ndrangheta, in ambienti sicuri, bonificati dalla presenza di eventuali sistemi di intercettazione ambientale che la polizia giudiziaria avrebbe potuto installare.

Voce alterata per essere irriconoscibili

Voce alterata per essere irriconoscibili

Si sono avvalsi di avanzate e sofisticate apparecchiature elettroniche in grado di rilevare la presenza di microspie rendendole inefficaci, acquistate per volontà dei vertici della cosca dalla nuova leva Vincenzo Affatato. Uno strumento voluto e utilizzato dalla consorteria criminale per eludere le attività investigative e non uno strumento privato. Prova ne è che Luigi Vasamì, attuale reggente dell’organizzazione criminale dava disposizioni ad Affatato di provare il rilevatore soprattutto sulle auto di Giuseppe Cariati e Luca Frustello, nella convinzione che i suoi principali collaboratori, continuamente in movimento per intrattenere rapporti di affari con esponenti di altre consorterie criminali, avrebbero potuto attirare l’attenzione degli investigatori, installando  microspie sulle loro auto: “ prova sulla macchina di Luca… sulla macchina di Peppe… Prova… su quelle due macchine…una deve essere per forza attiva… da Luca”.  Ed esisteva anche un’applicazione per alterare la voce e rendere irriconoscibile l’interlocutore.

Scaltri nel non fare trapelare nulla

Davide Critelli, altra nuova leva del clan, cercava di dare il proprio contributo all’associazione criminale sperimentando con l’aiuto del veterano Gianluca Scigliano, una app che scaricata sul proprio dispositivo, permetteva di rendere irriconoscibile l’identificazione dell’interlocutore da parte della polizia giudiziaria. E avevano a disposizione utenze intestate a terzi ed utilizzate a circuito chiuso, le cosiddette “utenze citofono”. Gli investigatori hanno scoperto intestazioni fittizie multiple di sim card telefoniche effettuate da Antonio Gaetano Leto per favorire la locale di Cirò, permettendo conversazioni più sicure. Una sorta di circuito comunicativo esclusivo e chiuso verso l’esterno difficilmente individuabile dagli inquirenti. Antonio Gaetano Leto, secondo quanto riportato nella richiesta di misure cautelari formulate dai pm della Dda di Catanzaro Paolo Sirleo, Domenico Guarascio e Pasquale Mandolfino, aveva attivato un elevato numero di sim card per consegnarle all’affiliato Luca Frustillo, che a sua volta le distribuiva nel tempo a esponenti di rilievo del sodalizio e ai rappresentanti di altre cosche di ‘ndrangheta operanti in territori limitrofi. Alcune sim rimanevano “dormienti” nel senso che se ne è accertato il loro mancato utilizzo durante il periodo delle indagini. Ma gli accorgimenti non erano mai abbastanza: erano scaltri e nonostante le varie strumentazioni utilizzate cercavano sempre di non far trapelare elementi che potessero dimostrare l’esistenza di un particolare reticolato di contatti tra affiliati della locale di ‘ndrangheta di Cirò. La stessa scaltrezza veniva anche utilizzata dalle mogli monitorate, prudenti nel celare i loro movimenti, non facendone menzione per telefono.

“Pure che non tiene la posizione… agganciano la cella”

Stratagemmi che però non sono sfuggiti ai carabinieri del comando provinciale del Nucleo investigativo di Crotone, che attraverso l’acquisizione della loro posizione, sapevano in diretta il punto geografico dell’utenza della persona da spiare. C’era chi non aveva alcuna utenza propria, come Gianluca Scigliano, che  usava saltuariamente quella della moglie. E le ragioni di questa scelta le chiarisce proprio lui in una conversazione con Giuseppe Cariati, Luca Frustillo e Vincenzo Affatato, intercettata all’interno di un circolo: “io ci sono passato… una parola di meno che dici… vi costa quanto un anno di carcere in meno… non mi spavento… altrimenti non la facevo questa vita… però se posso limitare … perché io non faccio il gioielliere o l’orefice e posso sapere che subisco una rapina… Io so quello che faccio”. Per Gianluca Scigliano il solo fatto di poter essere localizzato attraverso il telefono significava essere fregato: “pure che non tiene la posizione… agganciano la cella… ti ha fregato”.  Scigliano esternava tutto il suo rammarico ad Affatato per aver preso cinque anni di sorveglianza e tre di libertà vigilata, per essersi ritrovato con cinquemila e passa “viste” (ndr annotazioni di servizio), che attestavano la sua frequentazione con altri affiliati. Le modalità operative e i vari accorgimenti messi in atto dai vari sodali nel tentativo di eludere eventuali attività investigative trovano giustificazioni ben precise per gli inquirenti: Vasamì e gli altri affiliati rimasti in libertà in seguito all’operazione della Dda di Catanzaro, nome in codice Stige, dovevano garantire la permanenza del sodalizio criminale e la sua continuità nella consapevolezza di essere rimasti in pochi e di non potersi permettere il rischio di venire a loro volta arrestati “ Chi ci viene là mo’… che qui ci spaventiamo… se malauguratamente… che quattro cinque persone siamo… se malauguratamente”.

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