Telefoni “criptati” e videochiamate a casa, Mancuso: “Così mio fratello comunicava dal carcere”

Le nuove rivelazioni fornite dal collaboratore di giustizia emergono da una pagina desecretata di un verbale agli atti del maxi processo "Rinascita Scott"

Comunicavano dal carcere anche tramite videochiamate i due fratelli Mancuso, Giuseppe ed Emanuele. Un dettaglio di non poco conto che emerge da una delle pagine dei verbali riempite dal giovane collaboratore di giustizia e appena omissata per entrare nelle disponibilità delle difese nel maxi processo “Rinascita Scott” che si sta celebrando nell’aula bunker di Lamezia Terme. Il pentito continua a parlare e a raccontare retroscena inediti. La sua deposizione volge ormai al termine con il controesame che proseguirà nelle udienze di lunedì 19 e martedì 20 aprile.

La lettera dal carcere e i telefonini “criptati”

La lettera dal carcere e i telefonini “criptati”

Nel frattempo dalla pagina numero 53 desecretata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, Emanuele Mancuso spiega agli inquirenti come sarebbero avvenute le comunicazioni tra il fratello che all’epoca dei fatti raccontati si trova recluso nel carcere di Secondigliano e il resto della famiglia del figlio di Pantaleone Mancuso, alias l’ingegnere. Il verbale in questione è quello del 29 giugno 2018, uno dei primi resi dal pentito. Tra le righe si parla di una lettera che il fratello Giuseppe Salvatore avrebbe mandato all’esterno per essere consegnata a Emanuele Mancuso attraverso Pantaleone Perfidio. “Si trattava di una lettera – riferisce il collaboratore di giustizia – nella quale mi chiedeva di acquistare dei telefonini e delle Sim card”. Il costo dell’operazione? Circa tremila euro secondo quanto sostenuto da Emanuele Mancuso: “1.500 per acquistare 5 telefonini criptati e altrettanti per la guardia carceraria di Secondigliano che avrebbe provveduto a farglieli avere in carcere dove all’epoca era detenuto. Consegnai ad un fratello della fidanzata di un detenuto – compagno di cella di mio fratello i 1.500 euro da dare alla guardia e 4 telefonini rigenerati, comprati su internet sui quali ho installato gli applicativi di whatsapp e altre applicazioni”.

“Filo diretto” con il carcere di Secondigliano

Emanuele Mancuso racconta di aver tenuto per sé il quinto telefonino e una sim. “Telefoni che ho comprato – ricorda – nell’anno 2017, mentre le sim le ho comprate separatamente”. Alcune di queste sarebbero state intestate a un giovane di Nicotera “forse residente a Milano”. Con questo telefono, racconta ancora il collaboratore, mio fratello “mi ha contattato con una videochiamata, effettuata su un programma di cui ora non ricordo il nome. Al momento non so dire quali eventuali altri contatti ha avuto mio fratello con questo telefono”. Mancuso ha quindi rivelato di essersi recato a Napoli con un Golf per consegnare personalmente il telefonino. “Mio fratello volle parlare sia con mia sorella Cristina D’Amico, sia con le nipoti che con mia madre. Ma come lo seppe mio padre successe il finimondo: si arrabbiò molto e quindi mia madre – su indicazione di mio padre – si fece consegnare da me il telefono che ho svuotato dei dati contenuti. Quindi ho preso un altro telefono uguale e ho scaricato le stesse applicazioni che ho continuato ad impiegare per contattare mio fratello fino a quando non lo hanno trasferito”.

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