Una serie di estorsioni tentate e consumate. Da quella commessa nel 2009 ai danni di un’impresa di movimento terra fino a quelle più recenti tentate nei confronti delle ditte impegnate nella raccolta dei rifiuti e nella costruzione del nuovo ospedale di Vibo nel biennio che va dal 2018 al 2020. In mezzo anche le “mazzette” chieste per i lavori di riqualificazione degli edifici privati, il cosiddetto ecobonus 110%. In venti pagine la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro guidata dal procuratore Nicola Gratteri sintetizza il quadro delle accuse mosse alle “nuove leve” della ‘ndrangheta di Vibo destinatari di un avviso di conclusione delle indagini preliminari con contestuale avviso di nomina del difensore d’ufficio e invito a presentarsi per rendere interrogatorio se richiesto. L’inchiesta, condotta sul campo dalla Guardia di finanza e dai Carabinieri che hanno indagato congiuntamente, chiama in causa presunti esponenti di spicco della ‘ndrina dei “Pardea-Ranisi”. Nomi ricorrenti della cronaca giudiziaria, quasi tutti già noti alle forze dell’ordine e saliti più volte alla ribalta perché coinvolti, direttamente o indirettamente, in Rinascita Scott, il masi processo contro la ‘ndrangheta vibonese.
I nomi dei 13 indagati
I nomi dei 13 indagati
Nel provvedimento firmato dai pubblici ministeri Antonio De Bernardo e Andrea Buzzelli, unitamente al sostituto procuratore di Vibo Eugenia Belmonte, che ha collaborato a questa inchiesta insieme al pool di magistrati della Dda di Catanzaro, spiccano i nomi di Bartolomeo Arena, 46 anni di Vibo Valentia (collaboratore di giustizia difeso dall’avvocato Giovanna Fronte); Domenico Camillò, 28 anni di Vibo Valentia; Domenico Macrì detto “U’ mommo”, 38 anni di Vibo Valentia (avvocato Francesco Sabatino); Michele Manco, 34 anni di Vibo Valentia (avvocato Walter Franzè); Andrea Mantella, 50 anni di Vibo Valentia (collaboratore di giustizia assistito dall’avvocato Manfredo Fiormonti); Salvatore Mantella, 48 anni di Vibo Valentia; Vincenzo Mantella, 36 anni di Vibo Valentia; Salvatore Morelli, 39 anni di Vibo Valentia; Francesco Antonio Pardea, 36 anni di Vibo Valentia; Antonio Pirritano, 31 anni di Vibo Valentia; Michele Carchedi Pugliese, 38 anni di Vibo Valentia (difeso dagli avvocati Salvatore Staiano e Raffaele Manduca); Andrea Ruffa, 28 anni di Vibo Valentia (avvocato Vincenzo Brosio); Domenico Serra, 30 anni di Vibo Valentia (avvocato Giuseppe Di Renzo).
I Mantella e la mazzetta in quattro tranche
Nell’elenco degli indagati spicca anche il nome di Andrea Mantella, attuale collaboratore di giustizia ma prima ancora temuto capo dell’ala scissionista del clan Lo Bianco-Barba. Con i suoi scagnozzi si era messo in testa di prendersi Vibo a suon di bombe, danneggiamenti, minacce ed estorsioni. Una di questa è finita nell’avviso di conclusione indagini che contesta al pentito e ai suoi due cugini Vincenzo e Salvatore Mantella i reati di estorsione e rapina aggravate dal metodo mafioso. I fatti si riferiscono in epoca prossima al 2009 e, ovviamente, prima che Mantella iniziasse a collaborare con la giustizia. In concorso con i due cugini avrebbe avvicinato su un cantiere di Vena Superiore, alla periferia sud di Vibo, dove si stavano effettuando dei lavori, due imprenditori “invitati” a “mettersi a posto” costringendoli a pagare una mazzetta pari a 20mila euro versata in quattro tranche dell’importo di 5mila euro ciascuna. La prima sarebbe stata consegnata personalmente nelle mani di Andrea Mantella all’interno di un ristorante di Vibo Marina, le successive a Vincenzo e Salvatore Mantella. Per gli inquirenti una sorta di tassa da pagare al gruppo criminale capeggiato dall’ex boss oggi pentito per l’ubicazione del cantiere in un territorio sottoposto al loro controllo.
L’estorsione all’Ased e l’incendio dell’autocompattatore
Tra gli indagati figura un altro collaboratore di giustizia, Bartolomeo Arena. Anche in questo caso estorsione e rapina aggravata dal metodo mafioso sono i reati ipotizzati dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Il pentito, unitamente a Francesco Antonio Pardea, Salvatore Morelli, Michele Pugliese Carchedi e Domenico Camillò, tutti appartenenti – secondo l’accusa – alla ‘ndrina dei “Pardea-Ranisi”, avrebbero costretto il legale rappresentante dell’Ased, la ditta di Melito Porto Salvo che si occupava della raccolta dei rifiuti a Vibo nel periodo compreso tra il 2015 e il 2017, a pagare una cospicua somma di denaro suddivisa tra i membri del gruppo delle “nuove leve” di ‘ndrangheta vibonesi. A Bartolomeo Arena, in particolare, sarebbe stata consegnata la somma di 400 euro. Tutti e cinque sono indagati anche per danneggiamento. L’episodio ricostruito dai carabinieri, in questo caso, si riferisce all’aprile del 2016 quando un operaio dell’Ased venne fatto scendere dall’autocompattatore con la minaccia di una pistola e il mezzo poi incendiato con l’utilizzo di liquido infiammabile.
Le minacce all’imprenditore da fare “morsi morsi”
Tra le venti pagine del provvedimento emerge tutta l’arroganza dei presunti affiliati alla ‘ndrina “Pardea-Ranisi”. Nel mirino del gruppo criminale sarebbe finita anche la Dusty, la ditta che aveva preso il posto dell’Ased nella raccolta della spazzatura a Vibo. Nell’agosto del 2018 Domenico Macrì, unitamente a Domenico Serra, Michele Pugliese, Michele Manco e Andrea Ruffa, si sarebbero recati sotto l’abitazione di un imprenditore di Bivona per intimarlo a consegnare loro “una somma nell’occasione non meglio quantificata quale quota parte del provente derivante dall’esecuzione dell’appalto di gestione dei rifiuti per conto del Comune di Vibo ad opera della ditta Dusty”. Esplicita la minaccia: se non avesse pagato avrebbero sparato a lui e alla sua famiglia e fatto a pezzi “morsi morsi” aggiungendo: “tu te la sei prese con San Gregorio, Limbadi, Porto Salvo, Piscopio e Vibo”. L’imprenditore in questione non ha però ceduto alle minacce e alle pressioni facendo leva – secondo quanto si legge tra le carte dell’inchiesta – anche sui “propri rapporti con la ‘ndrangheta di San Gregorio d’Ippona, della cui protezione poteva godere al punto di paralizzare l’azione del Macrì e comunque ricondurre la composizione della vicenda nel contesto delle dinamiche criminali interne alla ‘ndrangheta vibonese”.
La tentata estorsione nel cantiere del nuovo ospedale
Tra le tentate estorsioni contestate spicca quella all’impresa che tra il 2020 e il 2021 ha effettuato alcuni lavori nell’area del nuovo ospedale di Vibo. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti a pronunciare la frase “Dì al tuo capo che si è dimenticato degli amici” sarebbe stato proprio Michele Manco. Una chiara minaccia proferita all’autista della ditta di costruzioni di Catanzaro che aveva vinto l’appalto. Chiaro l’obiettivo: costringere l’imprenditore che si era aggiudicato i lavori a pagare la classica mazzetta da corrispondere ai “Pardea-Ranisi” perché il cantiere in questione ricadeva – secondo le logiche criminali – nel territorio sottoposto al loro controllo. Tutto vano. Il messaggio recapitato indirettamente a Massimo Procopio, titolare della Costruzioni Procopio Srl, la società appaltatrice dell’opera pubblica, è stato rispedito al mittente con una denuncia all’autorità giudiziaria. Michele Manco avrebbe tuttavia insistito recandosi nuovamente sul cantiere e avvicinando un altro autista, un mese dopo, luglio 2020: “Vi siete scordati di andare a trovare gli amici, andate a trovare gli amici sennò vi sparano”. Nuovo messaggio di chiaro stampo mafioso, nuova denuncia contro ignoti da parte di Procopio, altro supplemento di indagini fino all’identificazione del presunto destinatario prima di una misura cautelare e nelle ultime ore dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari.
La tentata estorsione all’Eco Car
Nell’elenco degli indagati finisce pure Antonio Pirritano al quale viene contestato, in concorso proprio con Michele Manco, l’incendio di un mezzo di proprietà dell’Eco Car, una delle società impegnati nella raccolta dei rifiuti nel Comune di Vibo con cantiere operativo sito a Maierato. Secondo l’accusa i due indagati avrebbero costretto il titolare della ditta a consegnare in favore della ‘ndrina dei Pardea Ranisi “una non meglio definita somma di denaro e alte utilità senza altra causa o giustificazione che non fosse l’ubicazione del cantiere operativo e la gestione del servizio di nette urbana in un territorio sottoposto al controllo della criminalità organizzata con conseguente indebito profitto per sé e per la cosca e pari danno patrimoniale per la persona offesa”. Si tratta anche in questo caso di una tentata estorsione non conclusa “per cause – scrivono i magistrati – indipendenti dalla loro volontà, specificatamente per il rifiuto opposto dalla persona offesa che denunciava il fatto alle forze dell’ordine”.
Diretto alla difesa
Ciascuno indagato avranno ora venti giorni di tempo dalla notifica del provvedimento per presentare memorie difensive, produrre documenti, depositare documentazione relativa ad investigazioni del difensore, chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagine, nonché di presentarsi per rilasciare dichiarazioni o chiedere di essere sottoposti a interrogatorio con l’assistenza del difensore di fiducia.
LEGGI ANCHE | “Andate a trovare gli amici o vi sparano”, il postino del clan e la tentata estorsione all’ospedale di Vibo
LEGGI ANCHE | Tentata estorsione al nuovo ospedale di Vibo, il presunto “postino” del clan fa scena muta
LEGGI ANCHE | ‘Ndrangheta, spazzatura e minacce agli imprenditori: colpo di Gratteri alle “nuove leve” di Vibo
LEGGI ANCHE | Le mani della ‘ndrangheta sugli appalti pubblici a Vibo, cinque misure cautelari (NOMI)
LEGGI ANCHE | ‘Ndrangheta ed estorsioni su appalti pubblici a Vibo, 12 indagati
LEGGI ANCHE | I “postini” dei clan di Vibo e il messaggio all’imprenditore catanzarese: “Mettiti a posto con gli amici”
LEGGI ANCHE | La mano dei clan nell’attentato incendiario a Vibo: imprenditore di Catanzaro denuncia tentata estorsione