Terra e pandemia. Non c’è Calabria senza un’agricoltura forte, pulita e giusta

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Nessuno sa come usciremo da questa crisi, se uomini migliori che attraversano un mondo più giusto e sostenibile o se, al contrario, individui egoisti di un mondo ancor più incentrato sullo sfruttamento dell’uomo e delle risorse ambientali.

Quello che sappiamo è che il domani si costruisce nell’oggi e che è da subito necessario incanalare nella giusta direzione l’uscita dalla crisi. La pandemia ha detto qualcosa di importante a chi come Slow Food insiste da anni sulla centralità del cibo nella costruzione di un presente globale più equo e più ragionevole. E anche, più specificamente, ai soci calabresi di Slow Food, che da anni richiamano la politica regionale ad investire sull’agricoltura, pilastro di una Calabria decisa a riscoprire se stessa, e a governare i processi di innovazione nella produzione, nel marketing, nella diversificazione. Con questo documento intendiamo proporre una riflessione collettiva ed aperta su 4 distinti versanti:

Quello che sappiamo è che il domani si costruisce nell’oggi e che è da subito necessario incanalare nella giusta direzione l’uscita dalla crisi. La pandemia ha detto qualcosa di importante a chi come Slow Food insiste da anni sulla centralità del cibo nella costruzione di un presente globale più equo e più ragionevole. E anche, più specificamente, ai soci calabresi di Slow Food, che da anni richiamano la politica regionale ad investire sull’agricoltura, pilastro di una Calabria decisa a riscoprire se stessa, e a governare i processi di innovazione nella produzione, nel marketing, nella diversificazione. Con questo documento intendiamo proporre una riflessione collettiva ed aperta su 4 distinti versanti:

  • A soffrire per gli effetti delle restrizioni di movimento imposte dal lockdown globale sono stati soprattutto i piccoli produttori. E, nella nostra Regione, a dare segnali di sofferenza sono in particolare alcune produzioni di pregio (dalle fragole agli ortaggi, tanto per fare qualche esempio) chiamate a battagliare con una concorrenza esterna che punta da sempre sulla quantità e sul basso costo.  Se la grande distribuzione ha incrementato le proprie vendite e i propri profitti vedendosi consegnare la possibilità ulteriore di proporre a proprio piacimento prodotti e marchi ad un pubblico ansioso di acquistare bulimicamente più che di scegliere con raziocinio e se i negozi di prossimità hanno in qualche modo retto, coloro che hanno subito gli effetti della crisi sono stati i piccoli produttori, specie di qualità. Eppure sono propri i contadini a rappresentare i custodi della biodiversità che colora il nostro mondo e che rende la Calabria una regione ricca di risorse non valorizzate. Senza di loro saremmo uguali a tutti gli altri, solo più periferici e/o meno competitivi. La loro produzione non si è fermata, ma spesso l’accesso alla microfiliera cui facevano assoluto o principale riferimento si è interrotto. La crisi tragicamente agevola i soggetti più forti dell’economia e del mercato alimentare globale. Che, peraltro, spesso non sono né buoni, né puliti, né giusti, né calabresi e nemmeno italiani. Perché l’altro fattore che si impone all’attenzione dell’opinione pubblica è la dipendenza della nostra regione e del nostro Paese dall’estero. Questo vale per le mascherine, per i macchinari sanitari, ma anche per beni permanentemente essenziali come il cibo. E’ il momento, dunque, di porre in essere atti concreti per sostenere i nostri piccoli produttori e per rilanciare il valore dell’agricoltura quale componente essenziale della storia e del futuro della Calabria. In questo senso, riteniamo che si debbano mettere in discussione i modelli agricoli intensivi – che determinano perdita di biodiversità, riduzione della fertilità dei suoli, consumo di risorse ed elevate emissioni di gas serra – sostenendo la diffusione di principi e pratiche in grado di migliorare il benessere e l’equità sociale a lungo termine, nonché spingendo la Regione Calabria ad offrire un adeguato sostegno finanziario alle forme più avanzate ed efficaci di agricoltura sostenibile. Nei prossimi mesi bisognerà definire i contenuti della nuova Politica Agricola Comune, valida per il periodo 2021-2027. Nelle intenzioni della Commissione Europea la PAC post 2020 dovrà promuovere un settore agricolo intelligente e resiliente, incentivare i metodi di produzione a minore impatto ambientale, stimolare la crescita e l’occupazione nelle aree rurali. In questa ottica è necessaria una straordinaria attenzione verso quei piccoli produttori che costituiscono la spina dorsale dell’economia agricola regionale, per numero di addetti e di occupati. Non è immaginabile quale catastrofe potrebbe capitarci con un ulteriore abbandono delle terre legato alla difficoltà di remunerare i fattori della produzione. I piccoli produttori, va da sé, contribuiscono in maniera massiccia alla fornitura di una serie di servizi ecosistemici che generano benefici per la società: cibo sano e di qualità, conservazione della biodiversità e del paesaggio, tutela del territorio dall’erosione e dagli incendi, mitigazione degli effetti degli eventi climatici estremi. Rigettare azzardate proposte pre-pandemia (come la reintroduzione dell’uso del glifosato nella nostra Regione che spazzerebbe via i sacrifici compiuti sinora per l’abbandono dell’agricoltura convenzionale per forma di conduzione più ecosostenibili), valorizzare l’agricoltura biologica e l’agricoltura integrata, sganciare la promozione del consumo di prodotti calabresi dalla retorica leghista per affidarla ad una esaltazione della biodiversità e della qualità, incentivare le filiere corte, adottare un piano di affidamento delle terre incolte sono i primi passi che noi, firmatari di questo documento, suggeriamo di intraprendere. Si tratta di misure efficaci nel presente e utili, nei prossimi anni, per cogliere al meglio le opportunità offerte dalla nuova PAC. Una transizione verso un modello capace di valorizzare le tipicità e le eccellenze dell’agricoltura calabrese, fornendo alle imprese regionali elementi utili a rafforzare la propria competitività su mercati sempre più esigenti ed attenti ad un cibo sano e di qualità.
  • La crisi si preannuncia particolarmente devastante per due settori, per i quali è necessario adottare misure coraggiose ed immediate. Il primo è quello dei viticoltori, che oggi devono fare i conti con un crollo della domanda quasi assoluto. Non si dimentichi peraltro che la maggior parte dei produttori calabresi di vino hanno dimensioni medio-piccole e dipendono dagli ordini della ristorazione e dalle vendite all’estero. In entrambi casi, settori che si riattiveranno con fatica. E dunque, a parte una sensibilizzazione nei confronti della GDO calabrese a preferire vini di produzione locale, si reputa necessario che vengano adottate misure di contenimento della crisi, come la distillazione di una quota del vino prodotto quest’anno al fine di impedire un corsa al ribasso dei pezzi e di fornire, attraverso la produzione di alcool, una pur minima entrata ai vignaioli in difficoltà, ma anche misure volte a plasmare il futuro, con un sostegno mirato ai produttori di vitigni autoctoni, di vini naturali, biologici. Peraltro l’avvio di una parte delle produzioni vinicole alla distillazione sarebbe, in questo momento, auspicata per la cronica carenza sul mercato di alcol etilico ampiamente utilizzato come disinfettante e per la produzione di gel per l’igienizzazione delle mani. Naturalmente tale provvedimento, da adottare su base volontaria, dovrebbe essere accompagnato da misure di sostegno concreto per la gestione delle giacenze dei vini di qualità che si potrebbe tradurre in contributi per l’acquisto di nuove cisterne per la conservazione del prodotto. Si tenga peraltro presente che quel che vale per il vino vale in larga parte anche per l’olio. Come nel settore vitivinicolo, l’emergenza Covid, ha messo a nudo la fragilità di un comparto che ha dimostrato di saper realizzare produzioni di pregio qualitativo non riproducibili nelle dimensioni industriali. Il settore va perciò tutelato dalle “inondazioni” di olio a basso costo ma anche a bassa qualità.
  • L’altro settore fortemente a rischio è quella della ristorazione. Ma senza osti sensibili, senza locali che investano sul territorio, sulle produzioni di qualità, senza infaticabili trasmettitori della sapienza gastronomica non perderemo solo un segmento della nostra cultura ma anche un altro pezzo della nostra debole economia. Vale per loro, ovviamente, quello che vale per tutti gli altri. Ovvero la necessità di sospendere ogni forma di pagamento, tributo, affitto, al fine di alleggerire quanto più possibile gli effetti nefasti di questo periodo. Ma forse per loro vale anche di più, considerato che i locali di ristorazione a fronte di imponenti spese fisse avranno una capacità ricettiva fortemente ridotta. Si consenta poi, ove possibile, la vendita per asporto e la riapertura in sicurezza dei locali. Qui, come sopra, a dover fare la propria parte non è solo la politica regionale ma anche la società calabrese, chiamata a sostenere con le proprie scelte i piccoli produttori, i vignaioli, la ristorazione di qualità.
  • Più e miglior consumo di prossimità significa più produzione. Più agricoltura significa più produzione. Più sostenibilità significa migliore produzione. Ma tutto questo presuppone che sia disponibile la manodopera necessaria per raccogliere le nostre ricchezze. In questi giorni già si avverte la mancanza di manodopera nelle campagne e i prezzi dei prodotti agricoli (che spesso provengono da produzioni intensive) stanno aumentando sensibilmente, con ripercussioni a catena sulla nostra debole e già provata economia. Il potere di acquisto della moneta tende a scendere e a causare contrazione nei consumi In questo momento storico la frutta non raccolta, i campi non curati sono un delitto contro noi stessi. Per questo Slow Food chiede l’immediata regolarizzazione dei migranti, peraltro largamente presenti nella nostra Regione, al fine di riconoscere loro i diritti fondamentali ma anche di consentirne l’utilizzazione – in forme legali – nelle campagne calabresi. Insomma, sarebbe saggio oltre che opportuno, consentire a questi lavoratori di svolgere il loro lavoro in maniera dignitosa alla pari dei lavoratori degli altri settori economici.
  • Tornare a prima? Perché mai? Affidarsi prevalentemente alle importazioni non è stata una grande idea. Sfruttare i braccianti stagionali immigrati non è stata una grande idea. Abbandonare le aree interne non è stata una grande idea. Favorire un modello economico fondato sulla grande distribuzione non è stata una grande idea. Acconsentire ad un modello di ristorazione a basso prezzo e bassa qualità non è stata una grande idea. Cambiare passo allora: dal grano di queste terra può germogliare un’altra Calabria. Noi lavoriamo per questo, insieme a chiunque lo vorrà.
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