L’ultimo omicidio era avvenuto tre anni e mezzo fa e ora, dopo la parentesi di calma apparente, le Preserre vibonesi sono ripiombate in un clima di terrore. L’atmosfera purtroppo la conosce bene chi vive nel triangolo di territorio compreso tra Soriano, Sorianello e Gerocarne. Una frazione di quest’ultimo Comune, Ariola, è storicamente il feudo di un “locale” di ‘ndrangheta i cui equilibri interni, nei decenni, sono mutati con lo scorrere di tantissimo sangue. E gli inquirenti proprio in queste ore stanno cercando di capire se sia da inquadrare o meno in questo contesto il clamoroso omicidio avvenuto nel tardo pomeriggio di ieri a Soriano.
La vittima
La vittima
Giuseppe De Masi, imprenditore non ancora 40enne, era appena uscito dal suo barbiere di fiducia quando è stato freddato con alcuni colpi d’arma da fuoco da un killer che si è poi dileguato. La dinamica dell’agguato è agghiacciante, perché tutto si è consumato in strada, in pochi istanti e in un’affollata sera dell’ultimo giorno dell’anno. Il luogo del delitto è a pochi passi dal centro storico di Soriano in una zona molto frequentata in cui, da sempre, quelle ore sono scandite dall’esplodere di petardi – e non di rado anche di colpi d’arma da fuoco – per “salutare” l’arrivo del nuovo anno. E anche il profilo della vittima, che qualcuno ha deciso di rendere tale per non far dimenticare questo tragico Capodanno alla sua famiglia, è evidentemente sotto l’attenzione degli inquirenti. Che per tutta la notte e ancora in queste ore stanno effettuando perquisizioni e appostamenti nella zona, passando al setaccio anche eventuali immagini di telecamere di sorveglianza.
Le modalità dell’agguato
Se ne stanno occupando i carabinieri sotto il coordinamento della Procura di Vibo, ma è chiaro che degli sviluppi viene costantemente informata la Distrettuale antimafia di Catanzaro. De Masi una decina di anni fa era rimasto coinvolto in due operazioni storiche per questo territorio, “Ghost” e “Luce nei boschi”. Al centro c’erano i traffici di droga e le dinamiche di sangue del “locale” di Ariola, ma De Masi uscì assolto da entrambi i procedimenti. Nonostante ciò fonti investigative continuano a collocarlo nell’orbita del clan Emanuele, e le modalità dell’omicidio fanno pensare a un agguato studiato e portato a termine con spietata lucidità. Un “lavoro” da professionisti, insomma, che si teme possa riaprire una faida che dura da oltre vent’anni.
Gli ultimi delitti
Il 4 marzo del 2018 è stato ucciso a coltellate Bruno Lazzaro, omicidio che sarebbe riconducibile non alla faida – sebbene il contesto sia quello – ma alla gelosia del cugino della vittima, Gaetano Muller, la cui condanna è stata ridotta a 16 anni in secondo grado. L’omicidio precedente risale al 21 giugno 2017, quando nel centro storico di Sorianello era stato ucciso il 46enne Salvatore Inzillo. Nelle stesse viuzze, poco più di un mese dopo (28 luglio 2017), c’era stato un agguato (fallito) ad Alex Nesci, che destò scalpore perché con lui c’era il fratellino 13enne, affetto da sindrome di Down, che rimase lievemente ferito. In mezzo (25 settembre 2017) c’era stata la bomba esplosa sotto l’auto di Nicola Ciconte, sopravvissuto all’attentato. Sia Nesci e che Ciconte sono stati all’epoca ritenuti vicini al clan Loielo.
Le origini della faida
La storia della faida tra i Loielo e gli Emanuele risale ai primi anni 2000, quando furono uccisi i boss Pino e Vincenzo Loielo e fu palese che l’ala militare del “locale” di Ariola fosse passata, con la forza del piombo, sotto il controllo del clan capeggiato da Bruno Emanuele. In seguito a quel duplice omicidio le lupare si fermarono per una decina d’anni, ma nel 2012, dopo l’ondata di arresti di “Luce nei boschi”, si riaprì la faida. Che oggi, con i boss di entrambe le fazioni in galera e con il furore delle nuove leve forse alimentato da qualche regia esterna – i figli dei boss Loielo negli scorsi anni sarebbero stati foraggiati da Pantaleone “Scarpuni” Mancuso – torna a fare paura.
La lunga scia di sangue
La lunga scia di delitti si è riaperta il primo aprile del 2012 con il tentato omicidio di Giovanni Emmanuele, vicino alla famiglia Emanuele, avvenuto a Sorianello. Seguirono gli omicidi di Nicola Rimedio («legato – annotarono gli inquirenti – anche da vincoli parentali al clan Loielo»); Antonino Zupo (affiliato agli Emanuele, ucciso il 22 settembre 2012); di Domenico Ciconte (vicino ai Loielo, 25 settembre 2012); Filippo Ceravolo (estraneo al contesto criminale, vittima innocente della mafia, ucciso il 25 ottobre 2012 in un agguato destinato a Domenico Tassone, vicino agli Emanuele); Salvatore Lazzaro (ritenuto affiliato ai Loielo, 12 aprile 2013). Quindi c’è stato il tentato omicidio di Valerio Loielo il 21 luglio 2014; il tentato omicidio di Antonino, Alex, Chiara e Rita Loielo e di Alessandra Sofia (22 ottobre 2015); il tentato omicidio di Walter, Rinaldo e Valerio Loielo (5 novembre 2015).
I nuovi pentiti
Negli ultimi anni sono venuti fuori anche due pentiti che potrebbero raccontare molto di ciò che è avvenuto e, forse, sta avvenendo ancora. Nicola Figliuzzi, killer affiliato ai Loielo, ha tratteggiato i contorni di una faida storica che, ha messo a verbale il 14 gennaio 2018, «non si fermerà» perché «i Loielo vogliono la vendetta per i propri genitori e perché ognuna delle due fazioni vuole il controllo di quella zona». Nell’estate scorsa ha invece esordito in aula Walter Loielo, classe 1995, detto “batteru”. È il figlio di Antonino, primo cugino di Pino e Vincenzo, sparito nel nulla nell’aprile del 2017 e il cui cadavere è stato ritrovato a novembre del 2020 nei boschi di Gerocarne. Walter è indagato per avere occultato il cadavere del genitore, mentre suo fratello Ivan è accusato di averlo ucciso. Anche questo non è stato un delitto di ‘ndrangheta ma è maturato in quel contesto. Che dagli anni ’70, quando i Loielo erano una banda di rapinatori diventati l’ala armata della “società” poi decapitata nel 2002 dagli Emanuele, continua a mietere vittime su vittime.
s. pel.