Armi, minacce, usura, estorsioni, traffico di sostanze stupefacenti, violenza. Queste le accuse ai clan di Cosenza, tutto finalizzato ad aumentare il controllo della città e del territorio limitrofo. Nello specifico, a finire nell’occhio di polizia, carabinieri e guardia di finanza, il cosiddetto gruppo degli “zingari” capeggiati dalla famiglia Abruzzese e l’altro gruppo con al vertice, si ritiene, Roberto Porcato che, secondo gli investigatori, avrebbero stretto un accordo per dividere gli interessi economici della città bruzia. La Procura della Repubblica di Catanzaro ha chiuso le indagini per l’inchiesta denominata “Teste di Serpente”, il blitz che il 13 dicembre scorso aveva messo sotto scacco la criminalità organizzata di Cosenza, riconducibile ai clan Lanzino-Ruà-Patitucci, oltre agli Abruzzese. Non solo usura e spaccio. Ma anche omicidi, gambizzazioni, pestaggi in pubblico, realizzati con metodi spietati. I destinatari dei provvedimenti sono ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di omicidio, estorsione nei confronti di proprietari di attività commerciali ed imprenditoriali del cosentino, porto e detenzione illegali di armi anche da guerra, stupefacenti, usura in danno di imprenditori che versavano in stato di bisogno e, infine, lesioni. In tutto sono 22 gli indagati destinatari dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari.