di Gabriella Passariello- Prima le offese, poi le minacce di morte “non hai voluto finirla con avvocati, tribunali e giudici, ma io ti pulisco e ti faccio fuori è una promessa (…) goditi i tuoi figli per quanto ti rimane da vivere perché potrebbero essere giorni… guardati bene le spalle”. E infine le aggressioni fisiche nei confronti di chi avrebbe dovuto amare, prendendola a calci e schiaffi. Con le accuse di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali aggravate, il giudice del Tribunale monocratico di Catanzaro Maria Cristina Flesca ha condannato M. G. , 35 anni di Catanzaro, difeso dall’avvocato Luigi Falcone, a tre anni di reclusione, mentre il pubblico ministero onorario Cinzia Santo ne ha chiesti 4, richiesta a cui si è associato il difensore di parte civile Eugenio Felice Perrone. Una storia di violenza, iniziata nel 2013 e durata ben cinque anni.
Accecato dalla gelosia
Accecato dalla gelosia
Secondo le ipotesi accusatorie, l’uomo avrebbe rinchiuso a casa la convivente L. G., portando con sé le chiavi, per impedirle di andare via insieme ai figli, minacciandola di morte qualora avesse consumato il cibo presente in casa. E non le avrebbe risparmiato un calcio al ventre, che le ha provocato una contusione della parete addominale giudicata guaribile in dieci giorni, nel momento in cui la donna si è rifiutata di avere rapporti sessuali con lui. Aggressioni avvenute anche per litigi banali, schiaffeggiata al volto e afferrata al collo in presenza di figli minori, accecato da una immotivata gelosia che lo avrebbe spinto a controllare la biancheria intima della moglie per verificare se avesse avuto rapporti sessuali con altri uomini. Per l’accusa l’uomo avrebbe maltrattato sua moglie, offendendone il decoro e la dignità, “ponendola in uno stato di sofferenza morale e psichica tale da renderne la vita e l’esistenza particolarmente dolorosa”. La donna avrebbe subito una serie di violenze e prevaricazioni in molte, troppe circostanze. In un’occasione il marito l’avrebbe aggredita provocandole una cervicalgia solo perché aveva trovato droga e in altro episodio l’avrebbe spinta con un colpo alla schiena facendola cadere dalle scale e provocando al figlio che era con lei un trauma cranico non commotivo. Con l’aggravante di aver commesso il fatto contro il figlio minorenne. Una storia di continue vessazioni tra le mura domestiche che si è conclusa in primo grado con la condanna del 35 anni.