Timbrava in mutande, vigile reintegrato e risarcito con 250mila euro

Finisce la vicenda del vigile immortalato dalle telecamere finendo nell’inchiesta della Guardia di Finanza che portò a 43 misure cautelari

Prima indicato come l’emblema dei furbetti del cartellino perché filmato mentre timbrava in mutande nell’ambito di una indagine della Finanza al Comune di Sanremo, poi assolto dai giudici e infine ora reintegrato e risarcito. Finisce così l’incubo giudiziario del vigile sanremese finito suo malgrado al centro dell’attenzione mediatica perché nel 2015 fu immortalato dalle telecamere nascoste mentre timbrava il cartellino in mutande finendo nell’inchiesta della Guardia di finanza che portò a 43 misure cautelari.

La vicenda giudiziaria

Arrestato e posto ai domiciliari con la pesante accusa di falso e truffa, il vigile è stato processato e assolto con formula piena già in due gradi di giudizio ma ora per lui è arrivata la vittoria più attesa, il reintegro in servizio. La Corte d’Appello di Genova, sezione lavoro, infatti lo ha reintegrato accogliendo il ricorso dell’uomo e stabilendo per lui anche la restituzione degli stipendi persi.

A seguito dell’inchiesta sui furbetti del cartellino, infatti, Muraglia perse il lavoro con un licenziamento immediato nel gennaio 2016. Una batosta per lui che aveva famiglia e figli piccoli e che per sette anni lo ha lasciato senza stipendio. Contro il licenziamento, deciso dall’ufficio procedimenti disciplinari, l’uomo aveva fatto già ricorso ma il giudice del lavoro di Imperia lo aveva respinto.

Le parole del vigile sanremese

“Sono stati otto anni da incubo, dovevo portare avanti la mia famiglia, ho tre figli, una era adolescente e mi sono rimboccato le maniche aprendo un laboratorio di riparazioni” ha rivelato al Corriere della Sera il diretto interessato che ha trascorso anche 86 giorni agli arresti domiciliari.  Ora la Corte d’Appello di Genova però lo ha reintegrato con la restituzione degli stipendi arretrati, una cifra pari a circa 250mila euro.

Il giudice ha preso in considerazione le due sentenze penali dalle quali è emerso che l’uomo non solo non ha truffato nessuno ma iniziava a lavorare mezz’ora prima del suo turno. “A processo ho dimostrato che non mi erano state conteggiate 120 ore di straordinario” ha ricordato l’uomo.

“La timbratura in abiti succinti non costituisce neppure un indizio di illiceità penale e ha una sua spiegazione logica” avevano scritto i giudici nelle sentenze di assoluzione, ricordando che esisteva una disposizione del comandante della polizia locale secondo cui il vigile, in funzione di custode del mercato, doveva timbrare dopo aver aperto il mercato municipale e in abiti borghesi visto che abitava in un alloggio del comune nella stessa area del mercato.

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