Traffico migranti, la Dda di Reggio Calabria chiede il processo per 3 afghani coinvolti nell’inchiesta “Parepidemos”

Sono accusati di favoreggiamento pluriaggravato dell’immigrazione clandestina e di esercizio abusivo dell’intermediazione finanziaria

La Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria ha chiesto il processo per i tre afghani coinvolti nell’inchiesta “Parepidemos” e accusati di favoreggiamento pluriaggravato dell’immigrazione clandestina e di esercizio abusivo dell’intermediazione finanziaria. Il rinvio a giudizio è stato chiesto per Mohammad Younos Yawar di 43 anni e Mohammad Salim Ghafouri (53) e per Mohammad Javid Attae (42 anni). Quest’ultimo è stato arrestato a giugno ad Hanau, in Germania, mentre gli altri due a La Rochelle, in Francia.

L’inchiesta iniziata nell’ottobre 2020

L’inchiesta iniziata nell’ottobre 2020

L’inchiesta ha preso il via nell’ottobre 2020 quando i carabinieri hanno notato Mohammad Younos Yawar che, con un furgone con targa francese, si trovava a Bova Marina nei pressi di un centro di accoglienza dove i migranti venivano tenuti in isolamento sanitario temporaneo per il Covid. Gli accertamenti successivi hanno consentito di registrare i movimenti dell’afghano che, dopo avere fatto salire a bordo 10 connazionali, ha percorso l’intero territorio nazionale. Prima di fare ingresso nel traforo del Frejus, però, ha lasciato i migranti in montagna a pochi chilometri dal confine. Subito dopo l’uomo è stato fermato dai carabinieri di Bardonecchia ed era l’unico occupante del mezzo. Sui sedili posteriori c’erano alcuni bagagli con pannolini e vestiti non appartenenti all’indagato.

Le intercettazioni

Il furgone, inoltre, era dotato di un vano creato ad hoc per nascondere le persone. L’abbandono dei migranti, tra cui alcuni minori, in montagna, al freddo e alle intemperie, ha indotto la Procura a contestare anche le aggravanti di aver esposto le persone trasportate a pericolo per la loro vita. Dalle intercettazioni, inoltre, è emerso che per salvare i migranti abbandonati sulle Alpi l’indagato avrebbe preteso di essere pagato prima del viaggio. Le indagini hanno dimostrato quello che il gip ha definito “un sistema organizzato transnazionale che gestiva e assicurava l’ingresso clandestino e illegale di migranti in vari paesi europei”. Ogni migrante avrebbe versato 1.500 euro agli indagati per il trasporto.

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