di Maria Teresa Improta – Raggirato e ridotto sul lastrico. Emigrato in Piemonte in cerca di fortuna, l’incontro con un “compaesano” lo ha portato a perdere azienda e famiglia. È la storia di Raffaele Fazio, falegname 70enne di Serrastretta in provincia di Catanzaro. Truffato da un collaboratore di giustizia, Cesare Polifroni, per il quale ha eseguito lavori mai retribuiti, si trova a dover pagare alla Cassa di Risparmio di Torino centinaia di migliaia di euro per delle cambiali protestate e assegni insoluti. “Non mi sono reso conto di essere vittima di un raggiro – racconta Fazio – perché aveva un complice in banca che mi assicurò che era solvibile, al punto da scontarmi e mettermi in castelletto i titoli a firma del suo prestanome. Mi sono fatto pagare con delle cambiali prima di fare i lavori, alla data di scadenza non sono state liquidate, ma intanto la banca i soldi per comprare i materiali li aveva anticipati e quindi si è rivalsa su di me. Non potevo immaginare che si trattasse di un imbroglio finalizzato a chiudere al più presto il cantiere, vendere gli alloggi e far fallire l’impresa che li ha costruiti alla quale ho fornito il mio lavoro con la falegnameria. Il primo fornitore che non ha ricevuto l’incasso mi ha denunciato e l’hanno pignorata: valeva oltre 50mila euro ed è stata venduta all’asta per 3mila euro. Se me l’avessero lasciata pian piano lavorando avrei pagato i debiti e mi sarei risollevato”.
“Il primo nemico è lo Stato”
“Il primo nemico è lo Stato”
“Il primo ad avermi affossato – tuona Fazio – è lo Stato. Si è rivelato essere un nemico, invita a denunciare e poi ci costringe a comportarci come mafiosi. Chi non si adegua viene annientato. Questa truffa ai miei danni, per assurdo, si è consumata mentre Polifroni era già un collaboratore di giustizia. È stato il mio rifiuto a entrare nei suoi traffici che lo ha indotto a non coprire le cambiali del lavoro che avevo eseguito e mandarmi in malora. Di recente ci sono stati dei risvolti, perché le malattie portano sempre conseguenze negative. Essendo nullatenente a marzo 2021 hanno pignorato dei terreni che la mia ex moglie aveva ricevuto in eredità dopo la morte dei genitori, in quanto all’epoca eravamo in comunione di beni. La banca ha venduto il mio debito a delle agenzie di recupero crediti che hanno aggredito i suoi beni. Siamo divorziati dal 2003, ma a loro non importa perché le firme risalgono al 1995. Così succede che l’uomo che mi ha rovinato gode dei privilegi dettati dal fatto che era ed è un collaboratore di giustizia, mentre io vivo in miseria. Questa storia finirà (forse) quando morirò”.
Il risarcimento “fantasma”
“Ho una sentenza della sezione prima civile del Tribunale di Torino – chiarisce Raffaele Fazio – che afferma come Polifroni mi abbia truffato e debba restituirmi 125mila euro. È il giudice stesso che ipotizza come vi possa essere stato un reato di stampo mafioso ai miei danni. In sede penale però dopo sei anni hanno archiviato tutto perché a loro dire il signor Cesare Polifroni non avrebbe fatto un atto di stampo mafioso, ma solo una semplice truffa. C’è di più. Lo Stato ora mi chiede circa un milione di euro di tasse da pagare. Sulla carta lui vive con una pensione di 500 euro, come me, quindi non possono pignorargli niente e io non verrò mai risarcito. Papa Francesco ha lavato i piedi ai pentiti di mafia e noi, le vittime, veniamo presi a calci da laici e santi. Ho 70 anni e nonostante tutto, se tornassi indietro, rifarei la stessa scelta di non cadere nel ricatto di utilizzare i miei mezzi aziendali per fare dei trasporti illeciti. A costo di perdere lavoro e famiglia, come è successo. Ho preferito non invischiarmi in queste cose, non è la mia strada, sono un cristiano, non potevo tradire la mia fede. Credo che per persone normali come me, quando ci si imbatte in questi personaggi non c’è scampo, si rimane intrappolati, si può finire in galera o sotto un palmo di terra, tanto vale salvare la morale”.
“Chiesa e associazioni antimafia non mi hanno supportato”
“La Chiesa e le associazioni antimafia – afferma Raffaele Fazio – si sono rivelate poco utili, questo è il dramma. Purtroppo ho scoperto che esiste un’antimafia che vive di bandierine. Non ho ricevuto da loro supporto legale, se non spallucce trincerate dietro la giustificazione che la vicenda era troppo complicata. Mi hanno dato ascolto, le dieci euro per fare la spesa, qualche palliativo, per cui non smetterò mai di ringraziare. Hanno risposto però che non potevano fare nulla. Non hanno protestato al mio fianco, non mi hanno fatto intervenire e parlare neanche quando mi sono incatenato durante il festival contro le mafie Trame a Lamezia Terme. Potevano accompagnarmi quando sono stato interrogato dal pm, sollevare la questione delle assurdità delle leggi in vigore, sollecitare l’intervento della commissione antimafia, almeno per evitare che altri possano cadere nel vortice che mi ha risucchiato. Dal suo canto invece la Prefettura non ha potuto erogare i fondi antiusura perché non c’è stato un rinvio a giudizio per reati associativi. A ciò si aggiunga l’ultima beffa dell’Inps che, per un cavillo burocratico, non mi riconosce neanche l’invalidità, pur essendo un malato oncologico. Chi dai pulpiti civili e religiosi parla di supporto alle vittime di mafia dovrebbe riflettere. Questo è il prezzo che paga chi come me non si è piegato alla criminalità”.