Un agguato dalle tipiche modalità mafiosa quello subito dei coniugi Giuseppe Bruno e Caterina Raimondi il 18 febbraio 2013 a Squillace. Due omicidi, che si inseriscono nella faida tra la cosca Catarisano operante a Borgia e zone limitrofe e il clan di ‘ndrangheta dei Bruno di Vallefiorita, dove lo stesso Giuseppe Bruno al momento del suo assassinio ricopriva il ruolo di reggente (LEGGI). Un duplice delitto avvenuto con premeditazione e senza pietà da Francesco Gualtieri, 43enne, catanzarese, esponente della cosca Caterisano, destinatario di una misura cautelare in carcere, vergata dal gip distrettuale Gilda Danila Romano su richiesta della Dda di Catanzaro, che ha esploso con un kalasnikov nove colpi a carica unica all’indirizzo del reggente della cosca di Vallefiorita, colpendolo all’addome, al torace, agli arti inferiori, provocandone la morte per “shock traumatico da ferite multiple” e poi ha mirato alla testa di Caterina Raimondi, sparando un colpo a distanza ravvicinata, che non le ha lasciato scampo.
Il summit di ‘ndrangheta nella tavernetta
Il summit di ‘ndrangheta nella tavernetta
Le indagini svolte nell’immediatezza dei fatti non avevano consentito di dare un volto e un nome all’autore del delitto, il caso irrisolto si era chiuso con un’archiviazione, ci hanno pensato poi le dichiarazioni e il propalato di diversi collaboratori di giustizia a riaprirlo, permettendo al Nucleo investigativo dei carabinieri di Catanzaro di chiudere il cerchio su Giuseppe Gualtieri. Di particolare interesse investigativo le captazioni effettuate in Kyterion, su un summit di ‘ndrangheta avvenuto all’interno della tavernetta di Nicolino Grande Aracri, da cui si evince il movente dell’omicidio. Bruno avrebbe gestito il denaro ottenuto con le estorsioni nell’area di competenza, trattenendo per sè l’incasso, disobbedendo al mandato di Nicolino Grande Aracri, secondo il quale i soldi erano destinati prima di tutto al sostentamento economico dei detenuti, appartenenti alle famiglie mafiose che operavano sotto l’egida del boss di Cutro.
Bisognava uccidere il sodale, non aveva adempiuto alla regole del boss
Bruno si sarebbe sempre mostrato prudente rispetto alle richieste di Grande Aracri, come quando quest’ultimo gli chiese di allargare la sua competenza territoriale anche sulla zona di Soverato, Bruno voleva evitare scontri con le altre compagini criminali . E lo stesso atteggiamento di timore, il reggente di Vallefiorita l’avrebbe mostrato nel momento in cui il boss di Cutro gli chiese di compiere un atto intimidatorio nei confronti di una ditta di Crotone in servizio nel suo territorio, prodromico ad avviare un’attività estorsiva in cambio di protezione. Un’estorsione, che avrebbe quindi comportato degli introiti da destinare, secondo le logiche e gli interessi delle cosche a sostenere detenuti e le loro famiglie.
Bruno, secondo il carteggio del gip avrebbe disobbedito anche all’ordine di Grande Aracri di compiere un’estorsione in una discoteca di Soverato, cedendo “il posto” ad una terza persona che si era presentata come portavoce del boss, una persona però diffidata da Mano di gomma in quella zona. Bruno andava fermato per una serie di comportamenti non graditi, bisognava ucciderlo, perché non aveva adempiuto alle direttive impartite da Grande Aracri ed emblematica è la perdita di pazienza di quest’ultimo che intima Bruno a chiarire se voleva ancora continuare l’attività criminale, previo il rispetto delle volontà del gruppo, sottostando per proseguire ad esercitare il propri ruolo a tutto quello che gli veniva detto di fare.