Fine pena mai. Il gip distrettuale di Catanzaro, in accoglimento di una richiesta avanzata dalla Dda e dalla Procura di Vibo Valentia – rappresentanti congiuntamente la pubblica accusa – ha condannato all’ergastolo Francesco Pannace, 34 anni, di San Gregorio d’Ippona, nel Vibonese, per l’omicidio di Carmelo Polito, un 48enne freddato con cinque colpi di pistola l’1 marzo del 2011 in pieno centro abitato – San Gregorio d’Ippona – dinanzi al figlio di 6 anni, scampato miracolosamente all’agguato. Il fatto di sangue sarebbe maturato per vendetta in quanto la vittima – con precedenti per furto, omicidio e tentato omicidio – avrebbe schiaffeggiato due anni prima uno zio del presunto killer e poi anche un elemento di spicco del clan dei Piscopisani. Il processo nei confronti di Francesco Pannace – ritenuto a sua volta elemento del clan Fiarè di San Gregorio d’Ippona – si è celebrato dinanzi al gip distrettuale con rito abbreviato. L’imputato sta già scontando un ergastolo per altro omicidio per il quale ha ricevuto una condanna in via definitiva.
Incastrato da un’intercettazione
Incastrato da un’intercettazione
Un omicidio rimasto impunito fino all’ottobre del 2019 quando i carabinieri del Comando provinciale di Vibo, al termine di un’articolata attività investigativa, hanno risolto il caso assicurando alla giustizia il presunto assassino. Un delitto immortalato dalle telecamere di videosorveglianza installate in una vicina officina meccanica. Ed è da qui che i militari del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Vibo sono partiti per ricostruire l’agguato compiuto da due soggetti travisati da passamontagna che avevano colpito la vittima mentre stava passeggiando con in mano il figlio su corso Italia. Secondo l’accusa a sparare è stato Francesco Pannace. Ad incastrarlo è stata, in particolare, un’intercettazione ambientale captata dai militari dell’Arma nell’auto intestata a Rosario Fiarè, ritenuto esponente di spicco dell’articolazione di ‘ndrangheta di San Gregorio. Francesco Pannace era infatti l’autista del boss e l’effettivo utilizzatore dell’auto. Qualche mese dopo l’omicidio di Polito, conversando in auto con un giovane del posto si faceva sfuggire una frase emblematica per le indagini: “Ma hai saputo che mi hanno inculato no?… perché ho ammazzato questo figlio di puttana”. All’affermazione di Pannace, il suo interlocutore chiedeva: “Chi Polito ?” e lui rispondeva: “Era pazzo! E così via… per te, per me e per gli altri”. Un’altra conversazione ritenuta fondamentale dagli inquirenti per la ricostruzione del caso è avvenuta in carcere a Vibo dove Francesco Pannace si trovava ristretto in seguito all’arresto in flagranza dell’omicidio di Giuseppe Prostamo per il quale è stato condannato in via definitiva. In quell’occasione indicava al cugino il luogo in cui aveva nascosto il passamontagna “vedi sotto quell’eternit appena scendi? Là sotto c’è un passamontagna”. L’attività di riscontro dei carabinieri ha permesso di recuperarlo proprio nel luogo indicato dallo stesso Pannace. Era nascosto all’ingresso della stradina d’accesso della proprietà del nonno. Allo stesso tempo Pannace chiedeva al cugino se anche l’arma era ancora nascosta invitandolo a non rimuoverla dal posto designato e di prestare attenzione: “Stai attento se arrestano te cosa faccio qua dentro…”.
Ucciso per uno schiaffo
Ma perché Polito è stato ucciso? La vittima era considerata persona aggressiva e prepotente “solita ad andare in giro a chiedere soldi o a prendersi le cose senza pagare il prezzo”. Annoverava diversi precedenti penali per furto, rapina, omicidio e tentato omicidio. Un atteggiamento che avrebbe creato malcontento tra gli abitanti del paese che vivevano con il terrore. Tra l’altro Polito era appena uscito dal carcere psichiatrico di Barcellona Pozzo di Gotto dove era stato detenuto. Sarebbe stato quindi “giustiziato” in pieno giorno per uno schiaffo inflitto due anni prima allo zio del presunto killer e anche per dei “buffetti sulla guancia”, come richiamo dati in carcere a Rosario Fiorillo, alias “Pulcino”, ritenuto uno dei capi dei “Piscopisani. A riferire questo particolare agli inquirenti è stato il collaboratore di giustizia Raffaele Moscato. Scrive il gip del Tribunale di Catanzaro Carmela Tedesco a tal proposito: “Non può allora escludersi che l’omicidio di Polito fosse una vendetta del Pannace per il torto subito dallo zio o comunque una punizione dello stesso inflittagli per il suo comportamento prepotente ed aggressivo”.
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