di Gabriella Passariello
Si è chiuso con una condanna il primo capitolo giudiziario sull’omicidio del 73enne Francesco Macrì, ucciso la sera dell’11 agosto del 2014 nella centrale via Reggio a Crotone. Il gup distrettuale Tiziana Macrì ha inflitto 30 anni di carcere all’imputato Gianluigi Foschini, 27enne, giudicato con rito abbreviato e difeso dall’avvocato Francesco Gambardella. Il pm distrettuale Paolo Sirleo, al termine della requisitoria in cui ha ricostruito i fatti scritti nero su bianco sull’ordinanza vergata dai sostituti Domenico Guarascio e Fabiana Rapino, (i quali coordinarono l’inchiesta delegata alla Squadra mobile di Crotone), ha invocato il massimo della pena, ha chiesto al gup di condannare all’ergastolo l’imputato, accusato di omicidio aggravato dalla premeditazione e dal metodo mafioso, richiesta alla quale si è associato il difensore delle parti civili Pietro Pitari. Per la Dda di Catanzaro l’agguato al 73enne, sarebbe maturato in un contesto mafioso.Macrì quell’11 agosto fu raggiunto da quattro dei sette colpi di pistola calibro 22 sparati mentre era in compagnia di altre persone seduto ai tavolini di un bar. Due persone sbucarono dal nulla, col volto travisato, una di loro cominciò a sparare all’indirizzo di Francesco Macrì, che percorse pochi metri prima di accasciarsi su un marciapiede. Nonostante i soccorsi e la corsa in ospedale, per lui non ci fu nulla da fare, morì alcuni giorni dopo nel nosocomio di Crotone. Gli agenti della Mobile trovarono a terra diversi bossoli e visionando le immagini delle video sorveglianze presenti in zona, tra negozi e abitazioni private, riuscirono a ricostruire l’esatta dinamica dell’accaduto. Le attività investigative poi hanno consentito di fare il resto, portando a identificare Foschini come uno dei due esecutori materiali dell’agguato. Un omicidio, secondo gli inquirenti, consumato come risposta ad alcuni comportamenti tenuti da Macrì nei confronti di Foschini e giudicati da quest’ultimo offensivi. Due settimane prima del delitto, infatti, l’imputato ebbe una discussione con Francesco Macrì, degenerata in lite: Macrì sferrò uno schiaffo a Foschini, definendo i sui familiari “pentiti”. Un’espressione difficile da perdonare, un’onta da lavare col sangue.
Si è chiuso con una condanna il primo capitolo giudiziario sull’omicidio del 73enne Francesco Macrì, ucciso la sera dell’11 agosto del 2014 nella centrale via Reggio a Crotone. Il gup distrettuale Tiziana Macrì ha inflitto 30 anni di carcere all’imputato Gianluigi Foschini, 27enne, giudicato con rito abbreviato e difeso dall’avvocato Francesco Gambardella. Il pm distrettuale Paolo Sirleo, al termine della requisitoria in cui ha ricostruito i fatti scritti nero su bianco sull’ordinanza vergata dai sostituti Domenico Guarascio e Fabiana Rapino, (i quali coordinarono l’inchiesta delegata alla Squadra mobile di Crotone), ha invocato il massimo della pena, ha chiesto al gup di condannare all’ergastolo l’imputato, accusato di omicidio aggravato dalla premeditazione e dal metodo mafioso, richiesta alla quale si è associato il difensore delle parti civili Pietro Pitari. Per la Dda di Catanzaro l’agguato al 73enne, sarebbe maturato in un contesto mafioso.Macrì quell’11 agosto fu raggiunto da quattro dei sette colpi di pistola calibro 22 sparati mentre era in compagnia di altre persone seduto ai tavolini di un bar. Due persone sbucarono dal nulla, col volto travisato, una di loro cominciò a sparare all’indirizzo di Francesco Macrì, che percorse pochi metri prima di accasciarsi su un marciapiede. Nonostante i soccorsi e la corsa in ospedale, per lui non ci fu nulla da fare, morì alcuni giorni dopo nel nosocomio di Crotone. Gli agenti della Mobile trovarono a terra diversi bossoli e visionando le immagini delle video sorveglianze presenti in zona, tra negozi e abitazioni private, riuscirono a ricostruire l’esatta dinamica dell’accaduto. Le attività investigative poi hanno consentito di fare il resto, portando a identificare Foschini come uno dei due esecutori materiali dell’agguato. Un omicidio, secondo gli inquirenti, consumato come risposta ad alcuni comportamenti tenuti da Macrì nei confronti di Foschini e giudicati da quest’ultimo offensivi. Due settimane prima del delitto, infatti, l’imputato ebbe una discussione con Francesco Macrì, degenerata in lite: Macrì sferrò uno schiaffo a Foschini, definendo i sui familiari “pentiti”. Un’espressione difficile da perdonare, un’onta da lavare col sangue.
Redazione Calabria 7