Usura, estorsioni, minacce e ricatti ai danni di imprenditori. Condannato un catanzarese

Per intimidire le vittime diceva che avrebbero dovuto rendere conto "a importanti famiglie malavitose" in caso di mancato o ritardato pagamento

Sei condannati dal tribunale di Massa per l’inchiesta su casi di estorsioni e usura, anche aggravati con l’utilizzo del metodo mafioso, ai danni di imprenditori dell’area apuana di cui trattarono la Dda di Genova con la procura massese. I giudici hanno inflitto condanne fino a un massimo di 10 anni di carcere. La pena più alta riguarda gli imputati Carmine Romano, di Napoli, e Massimo Di Stefano, di Catanzaro, entrambi a 10 anni. Condannati anche Giovanni Formicola, di Portici (Napoli) a 4 anni, il dipendente della Provincia di Massa Carrara Alessandro Puccetti a 8 anni più l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Altre condanne, 2 anni e 4 mesi a Fabrizio Micheli, di Sassari, e 4 anni a Sergio Romano, anche lui originario di Napoli. Assolti, invece, Nicolas Di Stefano, Carla Santorelli e Angelo Romano. I pm avevano chiesto condanne complessive per 45 anni, il tribunale le ha accordate per circa 38.

Operazione Drago, usura ed estorsioni

Operazione Drago, usura ed estorsioni

L’inchiesta, denominata ‘Drago’, coordinata dal pm della Dda di Genova Federico Manotti, con la collega Alessia Iacopini della procura di Massa, si mosse dal 2017 tenendo sullo sfondo le infiltrazioni della criminalità organizzata sotto le Alpi Apuane e rivelando con le indagini episodi di estorsioni, minacce, ricatti e usura ai danni di commercianti e imprenditori. “Noi Massa non la comandiamo, la governiamo”, dicevano nelle intercettazioni gli imputati. La Dda evidenziò l’alto rischio di inquinamento dell’economia locale e l’uso, in almeno in un episodio, del metodo mafioso. Tra le minacce per intimidire le vittime, i condannati dicevano che loro avrebbero altrimenti dovuto rendere conto “a importanti famiglie malavitose” in caso di mancato o ritardato pagamento dei soldi pretesi. Inoltre, nei casi dei prestiti ad usura, agli inquirenti risultò pure che le ‘trattative’ avvenivano pure dentro Palazzo Ducale, la sede della Provincia.

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