Verbali di Amara, l’ammissione di Morra: “Davigo mi informò sulla vicenda”

Il presidente della Commissione Antimafia "ha, per le vie formali, messo a conoscenza della procura di Roma i fatti relativi alla questione Amara-Davigo di cui era a diretta conoscenza"
'Ndrangheta a Roma

“Sapevo anche io della questione perché informato da Piercamillo Davigo. Sono contento che Sebastiano Ardita sia uscito bene da questa vicenda”. E’ quanto ammesso, secondo quanto riporta il quotidiano “Il Dubbio”, dal presidente della Commissione Antimafia Nicola Morra. Dichiarazioni che certificano che la vicenda relativa ai famosi verbali di Piero Amara, l’ex avvocato esterno dell’Eni che ha svelato l’esistenza di una fantomatica loggia denominata Ungheria, non è rimasta circoscritta al Csm, ma è stata portata anche all’esterno, dove forse non era legittimo che andasse. Morra, nei giorni scorsi, “ha, per le vie formali, messo a conoscenza della procura di Roma i fatti relativi alla questione Amara-Davigo di cui era a diretta conoscenza”. Ma dalla sua dichiarazione ciò che emerge è che fosse consapevole della presenza, in quei verbali, del nome di Ardita, erroneamente indicato come appartenente alla fantomatica loggia “Ungheria”, composta, secondo quanto dichiarato da Amara, da magistrati, membri delle forze dell’ordine, politici e avvocati e in grado di pilotare nomine e funzioni.

La difesa di Davigo 

La difesa di Davigo 

Intanto Davigo si difende e, secondo “Il Dubbio”, dà una spiegazione precisa del perché non abbia formalizzato le lamentele del pm Paolo Storari contri i vertici della procura con un atto formale: non mettere in pericolo le indagini. Parole che l’ex pm di Mani Pulite ha riferito giovedì sera a Piazza Pulita, su La7, ribadendo di non aver violato alcuna regola. E rispedendo le accuse al mittente – il Csm – evidenzia come nemmeno David Ermini, numero due dell’organo di autogoverno delle toghe, non abbia avviato alcuna pratica formale per definire la questione secondo le regole di Palazzo dei Marescialli. L’irruzione di Morra nella vicenda, ora, complica le cose. A che titolo è stato informato dei fatti? E soprattutto, cosa sapeva? Davigo, per smarcarsi dall’accusa di aver “rotto” il segreto dell’indagine, spiega che non si trattava di verbali, ma di “copie Word di atti di supporto alla memoria. Io gli atti originali non li ho mai visti”. Quei documenti gli sarebbero stati consegnati a Milano, a casa di Storari, su una pen drive che poi a Davigo ha portato a Roma. E pur dicendosi completamente estraneo a quanto avrebbe fatto Contrafatto, spiega di aver lasciato i documenti nella sua disponibilità, qualora fossero stati richiesti dal Comitato di presidenza. La procedura seguita, ribadisce Davigo, sarebbe stata corretta. E ciò per proteggere indagini che, a dire di Storari, il procuratore Greco e la collega Pedio avrebbero tentato di rallentare.

La riflessione di Morra

Morra, intanto, riflette sul ruolo della magistratura. “Recenti vicende afferenti il mondo della magistratura hanno dimostrato quanto vi sia necessità di una profonda, severa, riflessione sull’amministrazione della giustizia nel nostro paese – ha scritto su Facebook -. Ritengo pertanto che la prima riforma necessaria per restituire ai cittadini fiducia nelle istituzioni repubblicane sia, appunto, quella volta a rendere la giustizia efficace e libera, imparziale e celere”.

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