“La provincia di Vibo? La più mafiosa d’Italia”. Almeno fino al 2018. E’ quanto emerge dal rapporto dell’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione, richiamato dalla relazione conclusiva sulle attività della Commissione parlamentare antimafia nella passata legislatura relativamente al capitolo dedicato al Vibonese. Nel periodo compreso tra il 2014 e il 2018 la Prefettura di Vibo Valentia ha emesso ben 139 interdittive antimafia conducendo la provincia al vertice della classifica: “Il tasso di mafiosità – si legge – che nella media nazionale è di 3,3, imprese interdette ogni 100mila abitanti raggiunge i livelli massimi a Vibo dove negli ultimi anni sono state emesse misure interdittive nei confronti di 86,4 imprese ogni 100mila abitanti”.
La capacità della ‘ndrangheta di rigenerarsi
La capacità della ‘ndrangheta di rigenerarsi
La situazione non sembra migliorata negli anni più recenti e anche in questo caso i numeri dicono tanto: sono state colpite da misure interdittive 30 imprese nel 2019 e altre 11 nei primi mesi del 2020. Qui si ferma lo studio dell’Antimafia visto che l’audizione alla quale si fa riferimento nella relazione è datata ottobre del 2020. “Il dato – osserva la Commissione – mostra l’importante risposta fornita dalle rappresentanze statali ad un fenomeno estremamente grave e diffuso ma, al tempo stesso, come già evidenziato per la provincia di Catanzaro, rende evidente la imponente pervasività della ‘ndrangheta e la sua preoccupante capacità di resistere e rigenerarsi, avvicinando ed ingerendosi in sempre nuove attività per continuare ad operare indisturbata, nonostante il costante e qualificato impegno profuso dalle istituzioni”. White-list e informazioni antimafia sono strumenti ritenuti importanti dalla Commissione parlamentare ma “non appaiono sufficienti a far fronte all’enorme impatto derivato dalla penetrazione della criminalità organizzata nell’economia e nell’amministrazione e sono quindi meritevoli di riflessione e approfondimento ulteriori”.
Gratteri e Falvo: “Legame tra ‘ndrangheta e massoneria”
Nella sua audizione il procuratore di Vibo Camillo Falvo aveva sottolineato senza mezzi termini “la forte incidenza della criminalità organizzata su tutti gli aspetti della vita sociale, economica ed amministrativa del territorio”. I sodalizi criminali di stampo ‘ndranghetistico storicamente presenti nella città di Vibo Valentia e nella sua provincia “si contraddistinguono, infatti, sia per l’impiego di strumenti di pressione di tipo collusivo e corruttivo miranti a condizionare le strutture amministrative, sia per la loro spiccata impostazione imprenditoriale, con crescente infiltrazione nelle attività economiche”. Sia Falvo come il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri nelle rispettive audizioni hanno sottolineato come “sia assai rilevanti l’influenza di una parte della massoneria”, il cui legame con la ‘ndrangheta è già emerso in diversi procedimenti penali portati avanti soprattutto dalla Direzione distrettuale antimafia. Definito invece “estremamente allarmante” quanto rappresentato dal Comandante provinciale della Guardia di Finanza in merito al ridotto numero di segnalazioni di operazioni ‘sospette’ inviate dai soggetti tenuti a provvedervi, a fronte dei rilevanti flussi di denaro accertati: “Oltre alla rilevata scarsa ‘propensione’ degli intermediari finanziari, è stata sottolineata la totale inesistenza di segnalazioni da parte di liberi professionisti (notai, commercialisti, consulenti del lavoro)”.
La penetrazione nella pubblica amministrazione
Un paragrafo a sé è dedicato al rapporto tra l’organizzazione criminale e il mondo imprenditoriale con particolare riferimento alla penetrazione nel settore della pubblica amministrazione attraverso professionisti, faccendieri, pubblici dipendenti. Secondo quanto raccolto dall’Antimafia nelle audizioni effettuate nel corso della sua ultima missione vibonese “grazie ad alcune tali professionalità sono stati, infatti, impiegati meccanismi sempre più sofisticati di riciclaggio che, anche per mezzo di fittizie intestazioni, hanno reso estremamente difficile l’individuazione dei patrimoni illeciti ed innalzato le garanzie di conservazione dei profitti del sodalizio criminale. Alcune di queste professionalità hanno consentito di mettere in relazione la ‘ndrangheta con i circuiti bancari, con società straniere, con il mondo delle università e con diverse istituzioni”. Una ‘ndrangheta pervasiva che si sarebbe avvalsa anche dei servigi di appartenenti alle forze dell’ordine o soggetti in servizio in uffici giudiziari. Colletti bianchi o “infedeli” di Stato.
Le carenze del Tribunale e il consiglio non ascoltato
Soffermandosi invece sulle scoperture d’organico e la carenza di personale all’interno del Tribunale di Vibo Valentia, la Commissione parlamentare Antimafia nel trarre le sue conclusioni ha evidenziato “la necessità di far sì che l’impegno profuso per far fronte al processo Rinascita Scott, di dimensioni non comuni, non pregiudichi la possibilità di portare a compimento numerosi altri processi, di criminalità organizzata e non, che pendono presso tale ufficio giudiziario: ciò al fine di evitare, anche alla luce della recente riforma del processo penale, che gli altri processi si trascinino, in un ripetuto mutamento di organo giudicante e rinnovazione del dibattimento, fino ad impedire una effettiva risposta di giustizia oltre che con il conseguente rilascio di un’immagine di non adeguatezza dello Stato, rispetto al dominio di una criminalità organizzata sempre più pervasiva”. Un consiglio fin qui non ascoltato da chi è nella stanza dei bottoni. E di governi dall’ottobre del 2020 ne sono passati già tre: dal Conte-bis a quello guidato da Giorgia Meloni passando per Mario Draghi. Per un più efficace contrasto dell’azione dei potenti gruppi criminali radicati sul territorio, la Commissione suggeriva già in tempi non sospetti “un rafforzamento degli organici del Tribunale di Catanzaro e di tutti gli uffici giudiziari di Vibo Valentia, con una implementazione del personale giudiziario e, conseguentemente, del personale amministrativo, oltre che con l’elaborazione di strategie volte a ridurre il ciclico turn over dei magistrati”. Detto e scritto nella relazione dell’Antimafia, ancora non fatto da chi si è seduto e siede a Palazzo Chigi. E il tempo scorre inesorabile.
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