Violenza contro gli operatori sanitari, dati e analisi in uno studio Inail

Fnomceo: "Il dato Inail relativo agli infortuni dei medici dovuti a violenze e aggressioni, è un dato sicuramente sottostimato"
sanità in Calabria

Nel quinquennio 2016-2020 sono stati più di 12mila i casi di infortunio sul lavoro accertati dall’Inail e codificati come violenze, aggressioni e minacce perpetrate nei confronti del personale sanitario, con una media di circa 2.500 l’anno. Lo rileva l’Istituto in occasione della prima Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari, che da quest’anno è celebrata annualmente il 12 marzo. La maggior parte degli incidenti si è verificata in ospedali e case di cura e le più infortunate – per quasi tre quarti – sono le operatrici sanitarie.

Il 46% di tali infortuni, spiega l’Inail, è concentrato nel settore ‘assistenza sanitaria’, che include ospedali, case di cura, istituti, cliniche e policlinici universitari; il 28% è stato riscontrato nei ‘servizi di assistenza sociale residenziale’ (case di riposo, strutture di assistenza infermieristica, centri di accoglienza), mentre il restante 26% ricade nel comparto ‘assistenza sociale non residenziale’. Riguardo al genere, gli infortunati sono per quasi tre quarti donne, con il 64% accertato in ospedali e case di cura, e l’80% nelle strutture di assistenza sociale.

Il 46% di tali infortuni, spiega l’Inail, è concentrato nel settore ‘assistenza sanitaria’, che include ospedali, case di cura, istituti, cliniche e policlinici universitari; il 28% è stato riscontrato nei ‘servizi di assistenza sociale residenziale’ (case di riposo, strutture di assistenza infermieristica, centri di accoglienza), mentre il restante 26% ricade nel comparto ‘assistenza sociale non residenziale’. Riguardo al genere, gli infortunati sono per quasi tre quarti donne, con il 64% accertato in ospedali e case di cura, e l’80% nelle strutture di assistenza sociale.

Le categorie più colpite

Infermieri ed educatori professionali – normalmente impegnati in servizi educativi e riabilitativi con minori, tossicodipendenti, alcolisti, carcerati, disabili, pazienti psichiatrici e anziani all’interno di strutture sanitarie o socio-educative – sono le categorie più colpite, con più di un terzo del totale dei casi. A seguire, con il 25% dei casi, sono gli operatori socio-sanitari delle ‘professioni qualificate nei servizi sanitari e sociali’ e con il 15% le ‘professioni qualificate nei servizi personali ed assimilati’, soprattutto operatori socio-assistenziali e assistenti-accompagnatori per persone con disabilità.

Più distaccati, con il 5% dei casi di aggressione in sanità, la categoria dei medici, che non include nell’obbligo assicurativo Inail i sanitari generici di base e i liberi professionisti. Nella Giornata nazionale vengono promosse iniziative di educazione e sensibilizzazione. Istituita dalla legge n.113 del 14 agosto 2020, la Giornata è stata indetta nel gennaio scorso da un decreto del ministero della Salute di concerto con i ministeri dell’Istruzione e dell’Università e Ricerca.

Dato sottostimato

Il dato Inail relativo agli infortuni dei medici dovuti a violenze e aggressioni, pari al 5% nell’arco di 5 anni dal 2016 al 2020, “è un dato sicuramente sottostimato, sia perchè si riferisce solo alla tipologia di aggressioni più gravi sia perchè è relativo ai soli medici ospedalieri mentre non sono inclusi nell’obbligo assicurativo Inail i medici di base e di Guardia medica”. Lo sottolinea Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo).

“Va infatti considerato – spiega Anelli – che una parte importante delle aggressioni avviene sul territorio, ovvero proprio tra i medici di Guardia medica che non vengono inclusi nella rilevazione dell’Inail”. Inoltre, precisa, “un’alta percentuale di aggressioni non viene denunciata dai medici, perchè si tratta di aggressioni di minore entità per le quali in molti casi il medico decide di non denunciare e non mettersi in malattia”. Proprio per questo, afferma, “abbiamo chiesto e ottenuto che nella attuale legge contro la violenza ai sanitari si prevedesse la procedibilità d’ufficio”. Questo, conclude Aneli, “consentirà di avere dati più attendibili rispetto alla reale dimensione del fenomeno”.

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