Mare Magnum, i motivi sul dissequestro dell’impero dei Perri di Lamezia: “Non sono imprenditori della ‘ndrangheta”

In 57 pagine il Tribunale di Catanzaro spiega la regolarità della crescita imprenditoriale del gruppo lametino: “Accuse non riscontrate"

Non esistono elementi sufficienti idonei a ritenere Francesco Perri, detto Franco, considerato il vero e proprio dominus intorno al quale ruotano tutte le attività commerciali del Gruppo Perri, l’ imprenditore di riferimento della cosca Iannazzo, “colluso” con la ‘ndrangheta, tramite la quale ha ottenuto l’incondizionata “protezione mafiosa” sulle proprie imprese. E di conseguenza non ci sono elementi per ritenere socialmente pericolosi i fratelli Marcello e Pasqualino Perri.  La seconda sezione, misure di prevenzione del Tribunale di Catanzaro, motiva in 57 pagine, le ragioni del rigetto della duplice richiesta, avanzata dalla Dda, di applicazione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per 5 anni e di confisca di 800milioni di euro, nell’ambito dell’inchiesta Mare Magnum, (LEGGI),che a febbraio 2022 ha portato gli uomini della Guardia di finanza a mettere i sigilli sull’impero dei Perri . Ma andiamo per gradi, partendo dalle ipotesi di accusa per capire come il collegio giudicante arriva a decretare la restituzione dei beni al Gruppo Perri e ad accogliere l’istanza difensiva degli avvocati Salvatore Staiano e Aldo Ferraro per Franco Perri, Francesco Gambardella per Pasqualino Perri, Michele Cerminara per Marcello Perri, a cui si aggiungono gli avvocati dei terzi interessati: Giuseppe Mussari per Antonella Perri, Vincenzo Visciglia per Adelina Gatto.

L’origine dell’impero dei Perri secondo la Dda

L’origine dell’impero dei Perri secondo la Dda

Un impero, secondo le ipotesi accusatorie, i cui primi mattoni sono stati posizionati dal padre di Francesco, Antonio Perri (ucciso nel 2003), grazie agli aiuti delle cosche, occupandosi di commercializzare materiale alimentare, vendendo nei propri negozi merce rubata. Un semplice lavoratore che partiva da una posizione modesta e che a detta del pentito Gennaro Pulice non avrebbe mai potuto onestamente creare quel colosso di attività commerciali. Antonio Perri era un uomo inserito appieno nelle dinamiche criminali della famiglia Cannizzaro, che gli ha fornito, sempre secondo il pentito, la “giusta strada” per ottenere la certificazione antincendio per l’apertura del supermercato Midway sottolineando la gestione del malaffare con la vendita di materiale edibile contraffatto, per intenderci parliamo di materiale scaduto rietichettato per la vendita, che creava utili a Perri, inizialmente inserito nella cosca Cannizzaro e non con i Iannazzo, che in una prima fase nemmeno conosceva.

“I Perri da sempre legati alla ‘ndrangheta”

Questo nuovo rapporto si sarebbe poi creato con l’erede Francesco Perri e il pentito spiega come Antonio effettuasse innumerevoli regalie alla famiglia Torcasio riferendo, come prima il padre con i Torcasio e dopo i figli con i Iannazzo, siano sempre stati vicini alle logiche criminali dell’hinterland lametino. Pulice racconta del boom commerciale di Antonio Perri, dovuto alla rivendita di materiale rubato, che gli avrebbe permesso di produrre un patrimonio importate in pochissimo tempo. A prendere in mano le redini delle attività è stato Francesco Perri e il pentito Angelo Torcasio il 3 gennaio 2012 ribadisce la natura dei benefici reciproci scaturiti dalla relazione instaurata con la cosca “Iannazzo”, in particolare con Vincenzino figura apicale dell’omonimo sodalizio mafioso. Il collaboratore spiega che grazie alla disponibilità di Perri nei confronti della cosca, quest’ultima è riuscita ad ottenere, tramite  imprese riconducibili o comunque vicine agli stessi Iannazzo, l’affidamento di imponenti lavori di realizzazione del Centro Commerciale “Due Mari” e la fornitura di prodotti nei supermercati. In cambio, conscio di rivolgersi alla figura apicale di una consorteria mafiosa, Perri sarebbe stato in condizione di richiedere a Vincenzino Iannazzo di attivarsi per trovare la salma del padre precedentemente trafugata e intervenire per scongiurare l’apertura a Lamezia Terme dei supermercati concorrenziali sotto il profilo qualità prezzo, di adoperarsi per far cessare le attività illecite poste in essere da alcuni ragazzi nei pressi del parcheggio del Centro Commerciale “Atlantico”, di proprietà della società La Nuova Nave Sri della famiglia Perri, che infastidivano la clientela e di far gambizzare il proprio fratello Marcello.

Il tentativo di gambizzare il fratello per questioni economiche

In particolare l’atto intimidatorio, spiega il pentito, sarebbe stato richiesto da Francesco Perri alla cosca Iannnazzo che, a sua volta, si sarebbe rivolta per la materiale esecuzione alla famiglia Giampà, specificando i motivi per i quali i propositi intimidatori non andarono in porto in seguito  all’arresto dello stesso Torcasio. Un aspetto questo che trova riscontro  anche nelle risultanze delle banche dati dello “SDI”, laddove è emersa traccia dell’esistenza di dissapori tra Marcello Perri e il  resto dei componenti della propria famiglia, culminati anche in vicende giudiziarie.  Dissapori insanabili collegati alla volontà di Marcello nel maggio 2011 di recedere dalle compagini societarie di famiglia con conseguente diritto a ottenere un cospicuo indennizzo. Le dichiarazioni di Angelo Torcasio evidenziano, secondo la Dda, da un lato l’appoggio mafioso cui si sono avvalse le imprese commerciali dei Perri per imporre i propri prodotti sul mercato, aggirando le normali regole concorrenziali, dall’altra, pongono in risalto la “disponibilità” in favore della cosca Iannazzo manifestata dall’imprenditore Francesco Perri attraverso le proprie aziende.

Per i giudici: “Ipotesi di accusa non riscontrate”

Ipotesi accusatorie che non reggono, secondo il Tribunale di Catanzaro, alla luce del verdetto dei giudici di Lamezia che hanno assolto Franco Perri, imputato nel processo Andromeda, con la formula per non aver commesso il fatto e al quale aveva dato un contributo determinante nel rito ordinario l’avvocato Francesco Pagliuso. Un’assoluzione per il collegio del capoluogo che non può non dispiegare i suoi effetti nella decisione di dissequestrare l’ingente patrimonio, tenuto conto che la Dda “non ha sottoposto ulteriori elementi da vagliare all’organo giudicante. “Nessun collaboratore di giustizia ha riferito di un ruolo attivo di Francesco Perri nello stringere rapporti con gli esponenti del clan Iannazzo per ritrovare la tomba del padre defunto. D’altronde la condanna di Antonio Fazio per il tentativo di estorsione ai Perri, ai quali veniva chiesta la somma di un milione e mezzo di euro, pena la mancata restituzione della bara e la collaborazione con le Forze dell’ordine offerta da Franco Perri per ritrovarla, interfacciandosi in più occasioni con gli inquirenti e facendosi parte attiva nel corso delle investigazioni, escludono una cointerrenza tra l’imprenditore e il clan mafioso, tenuto conto che le dichiarazioni dei collaboratori sul punto non sono state riscontrate”.

“Non riscontrate le dichiarazioni dei pentiti”

E per la  seconda sezione, misure di prevenzione del Tribunale di Catanzaro, i pentiti non possono essere ritenuti credibili nemmeno in riferimento al tentativo di Franco di gambizzare il fratello Marcello. Giampà ha riferito di averlo appreso mediante un dialogo avvenuto nella casa di Provenzano con Vincenzino Iannazzo, mentre un teste di pg ha dichiarato che Iannazzo in quel momento era in Irlanda. Inoltre Antonio Muraca, ritenuto uno degli esecutori materiali e Vincenzino Iannazzo sono stati assolti con sentenza definitiva e né “l’accusa potrebbe reggere solo sulla base delle dichiarazioni della persona offesa: Marcello Perri, ha motivi di astio nei confronti dei fratelli a causa di un rapporto conflittuale con gli stessi”. Ma la richiesta della Dda non può essere accolta nemmeno in relazione alla crescita esponenziale del gruppo a partire dal 2003, una crescita dovuta alle infiltrazioni mafiose, come quella del panificio San Giovanni, riferibile a Giovanni Curcio, appartenente alla cosca Giampà, attività commerciale su cui riferiscono vari collaboratori.

L’elaborato tecnico di parte redatto da Vittoria Iaquinta e Antonio Claudio Schiavone ha rappresentato, secondo il Tribunale di Catanzaro,  come l’incremento del volume di affari del panificio a partire dal 2008 è in linea con il volume di affari generato da altri esercizi commerciali che forniscono prodotti da forno, restando prive di riscontro le dichiarazioni dei collaboratori secondo cui sarebbe dipeso dall’intercessione di Angelo Torcasio col boss Vincenzino Iannazzo e, come evidenziato dai difensori Staiano, Ferraro, Mussari, in base alla consulenza allegata, il volume di affari della “Cascina della bontà” è irrilevante rispetto alle forniture analoghe effettuate da altri operatori.

I giudici: “Assunzioni e crescita imprenditoriale regolari”

Il collegio concorde sulle conclusioni difensive anche in relazione ai lavori edili di ampliamento del centro commerciale i Due Mari realizzati dalla ditta Deltavi costruzioni srl riconducibile a Pietro Iannazzo, figlio di Vincenzino: “la difesa ha allegato una giustificazione economico-commerciale credibile, suscettibile di ricostruire in maniera alternativa i rapporti tra la società e il gruppo Perri, non essendo di per sé sufficiente affidare dei lavori ad una determinata società per corroborare l’asserzione secondo cui Perri avrebbe voluto favorire la cosca Iannazzo”. L’assunzione di personale legato da rapporti di parentela con i Iannazzo, non costituisce prova di una cointeressenza tra il gruppo mafioso e il gruppo imprenditoriale, a fronte della regolarità negoziale e contabile: “non sono riscontrate le dichiarazioni del collaboratore Pulice, il quale afferma che il gruppo Perri offriva numerose opportunità lavorative per consolidare la forza criminale dei Iannazzo”. 

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