di Mimmo Famularo – La misura degli arresti domiciliari “appare assolutamente inidonea a soddisfare le pressanti esigenze cautelari che caratterizzano la posizione degli Stillitani”. Lo scrivono il procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla e il sostituto procuratore Antonio De Bernardo nell’istanza d’appello con la quale la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro impugna l’ordinanza del gip che lo scorso 12 agosto ha scarcerato i due imprenditori vibonesi coinvolti nell’inchiesta “Imponimento” contro il clan Anello. Tra gli atti depositati nell’udienza preliminare di “Rinascita Scott” in corso di svolgimento nell’aula bunker di “Rebibbia” spunta anche il ricorso inoltrato al Tribunale del Riesame di Catanzaro.
“In affari con la ‘ndrangheta vibonese”
“In affari con la ‘ndrangheta vibonese”
Secondo gli inquirenti Francescantonio ed Emanuele Stillitani, accusati di concorso esterno in associazione mafiosa, devono tornare in carcere. “Si tratta – scrivono i magistrati antimafia rivolgendosi al Tribunale del Riesame – di soggetti pienamente inseriti, da un lato, nel tessuto imprenditoriale, sociale, politico della società vibonese; dall’altro in rapporti d’affari, da quasi venti anni ed in ragione del loro ruolo imprenditoriale e politico, con le più potenti cosche del vibonese, di cui si sono senza scrupolo avvalse per agevolare le loro attività e per le quali hanno rappresentato un efficiente canale di controllo, infiltrazione, sfruttamento di attività economiche e del territorio”. Per la Dda è dimostrato dagli atti quanto gli Stillitani “abbiano rinforzato la cosca Anello in questi anni, mediante occasioni di lavoro e guadagno e persino attraverso un generoso contributo economico stagionale”. Secondo l’accusa la custodia cautelare in carcere è dunque la misura più idonea da applicare ai due fratelli di Pizzo per evitare l’inquinamento probatorio, il sostentamento economico del sodalizio o, addirittura, rendersi irreperibili o favorire l’irreperibilità di terzi.
Tutte le richieste della Dda al Riesame di Catanzaro
La Dda di Catanzaro ha appellato l’ordinanza del gip distrettuale anche nei confronti del commercialista ed ex consigliere provinciale di Vibo Valentia Domenico Fraone, accusato di concorso esterno, passato dal fermo in carcere emesso lo scorso 21 luglio dalla Procura guidata da Nicola Gratteri all’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari disposta dal gip di Catanzaro. Come nel caso degli Stillitani, per Fraone serve una “misura eccezionale” invocata nel ricorso al Tribunale del Riesame. Una richiesta di 205 pagine che riguarda complessivamente 17 indagati per i quali l’iniziale misura cautelare è stata modificata o annullata. Così la Dda ha chiesto il carcere per Domenico Fraone, così come Francescantonio ed Emanuele Stillitani ma anche per Luciano Babbino, Angela Bartucca (moglie del boss di Filadelfia Rocco Anello), Vito Bretti, Domenico Ciconte, Vincenzo Cutrullà, Domenico Gallello, Giovanni Giardino (inteso Giancarlo), Francesco Mallamace, Rocco Polito, Domenico Rutigliano e Gino Stranges. Invocati i domiciliari invece per altri tre indagati: Vincenzo Rubino, Giuseppe Ruccella e Francesco Serratore.
Imponimento, il Riesame respinge il ricorso: i fratelli Stillitani restano ai domiciliari