Coronavirus, il caso Comalca a Catanzaro e la cattiva gestione dell’emergenza

di Giovanni Bevacqua – Come si pensa di evitare la diffusione del virus senza fare nulla di concreto per riuscirci? Non giriamoci intorno: in Calabria si sta facendo ben poco per contrastare il coronavirus.

Pensiamo ad esempio ai focolai tra migranti, su tutti il caso delle Case di accoglienza straordinaria ad Amantea e Campora San Giovanni. O ancora alla “zona rossa” di Stefanaconi. Il virus probabilmente deve fare il suo corso ma noi non stiamo facendo nulla per limitarne i danni. 

Pensiamo ad esempio ai focolai tra migranti, su tutti il caso delle Case di accoglienza straordinaria ad Amantea e Campora San Giovanni. O ancora alla “zona rossa” di Stefanaconi. Il virus probabilmente deve fare il suo corso ma noi non stiamo facendo nulla per limitarne i danni. 

Il caso Comalca e la gestione dei contagi

Prendiamo, per esempio, il caso del Comalca, il consorzio del mercato agricolo calabrese. Oggi è stata ufficializzata la positività di un dipendente di una delle aziende operanti al suo interno. Il caso è strettamente correlato ai contagi emersi nelle ultime settimane a Sud del capoluogo calabrese, i quartieri Lido e Fortuna. Ma la risposta è la semplice chiusura della singola attività con l’obbligo di tampone per i soli dipendenti della stessa. Come se all’interno del Comalca, dove mediamente al giorno si ritrovano dalle 600 alle 800 persone, tra produttori, distributori e acquirenti, non esistesse il rischio di diffusione del virus. Questa la lettera dell’Asp al sindaco Sergio Abramo: “Sulla base dell’indagine epidemiologica effettuata sui casi positivi inerenti alla società Comalca Scarl, si consiglia la chiusura della suddetta attività con decorrenza 30/09/2020, al fine di poter effettuare tamponi oro-faringei per la ricerca del Covid19 sul personale ivi operante. La riapertura sarà possibile dopo l’esito della predetta indagine”.

Pochi tamponi e test privati a pagamento

Al momento, però, agli operatori del mercato non è arrivata alcuna disposizione ufficiale per l’esecuzione di tamponi o sullo stop delle attività in attesa di avere un quadro chiaro sulla situazione. Sappiamo per certo che domani ci saranno persone che effettueranno il test sierologico a pagamento, per una tranquillità personale e delle persone che hanno intorno, ma forse non sarebbe stato il caso di muoversi diversamente? Perché se è davvero questo il modo con cui si sta monitorando l’andamento del virus e si stanno tracciando i contatti degli infetti, forse è meglio affidarsi al “metodo Boris Johnson” e sperare davvero che si riesca a raggiungere un’immunità di gregge il prima possibile.

Catapultati dentro un film

Probabilmente è dovuto al fatto che fino ad oggi non abbiamo vissuto l’emergenza in prima persona, non abbiamo creduto fosse vera. Del resto, ci siamo visti costretti in casa quando da queste parti i contagi si potevano contare sulle dita di una mano. E non abbiamo vissuto la drammaticità del lockdown. Mentre a Bergamo c’era l’esercito incaricato di spostare le salme di chi non ce l’ha fatta, dalle nostre parti si faceva la corsa al lievito per le sfide casalinghe su chi faceva la pizza più bella. 

La verità è che in Calabria la disperazione di quei giorni, la paura di affrontare un nemico invisibile, appariva come lontana. Quasi come stessimo vedendo un film. Ma ora dentro lo schermo ci siamo noi. E ci siamo fatti cogliere del tutto impreparati.

nella foto: il personale sanitario che misura la temperatura agli operatori del Comalca

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