L’amante torturato dal clan dei Gaglianesi, il pentito Mirarchi racconta la forza dei Costanzo

Vitaliano Costanzo è il nipote del capo della consorteria di ‘ndrangheta dei Gaglianesi. Squillace, Elia e Pettinato ruotano intorno a quella famiglia
latitante 'ndrangheta

di Gabriella Passariello- Gli atti di indagine restituiscono l’immagine di una violenza disumana consumata a Catanzaro, nel quartiere Gagliano, da persone contigue al clan dei Gaglianesi, messa in atto per punire chi si è reso reo di aver tradito la fiducia del capo dell’organizzazione criminale Vitaliano Costanzo, uno sgarro quello di essere l’amante di sua moglie che non poteva essere perdonato. Costanzo come Riccardo Elia e Francesco Squillace, detto “Cecchetto” seviziano la vittima e poi minacciano i suoi familiari convinti di farla franca (LEGGI). Per la Dda di Catanzaro il gruppo Costanzo non è di poco conto e per comprendere la portata criminale che ha portato la Mobile a notificare quattro misure cautelari in carcere firmate dal gip Chiara Esposito su richiesta del magistrato della distrettuale Veronica Calcagno è necessario inquadrare i personaggi coinvolti e accusati a vario titolo di tortura, lesioni personali aggravate, sequestro di persona, violenza privata, detenzione illegale di arma comune da sparo, rapina, reati tutti aggravati dal metodo mafioso (LEGGI).

Il ruolo del gruppo Costanzo nelle dichiarazioni del pentito

Il ruolo del gruppo Costanzo nelle dichiarazioni del pentito

Vitaliano Costanzo è il nipote di Girolamo, capo indiscusso della storica consorteria di ‘ndrangheta dei Gaglianesi, clan che prende il nome dal quartiere a nord del capoluogo di regione e Francesco Squillace, Riccardo Elia, Luigi Pettinato ruotano intorno alla sua famiglia. Per gli inquirenti sono significative le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Santino Mirarchi su una vicenda che ha coinvolto i fratelli Costanzo, Squillace e i componenti del clan di Gagliano Lorenzo Iiritano e Maurizio Sabato. In uno dei suoi tanti interrogatori, il pentito spiega cosa è avvenuto il 5 marzo 2016, quando si sono registrati nella zona sud del capoluogo calabrese due atti intimidatori consecutivi, uno ai danni di un bar in via Fiume nel quartiere Lido, da lui gestito e l’altro nei confronti di un’auto parcheggiata in via Sardegna vicino la sua abitazione, macchina appartenente a terzi ma l’obiettivo da colpire sarebbe stato sempre Santino Mirarchi. Secondo il narrato del pentito tutto parte da un alterco verificatosi all’interno di una discoteca di Lido per questioni legate allo spaccio di droga.

Gli atti intimidatori del clan dei Gaglienesi

Nonostante nell’ambiente criminale catanzarese fosse risaputo che in quel locale il gruppo di Mirarchi avesse il monopolio dello smercio di marijuana e cocaina e provvedesse ad offrire una sorta di guardiania per evitare liti, uno dei fratelli Costanzo durante la notte avrebbe provato a vendere erba per conto proprio. Mirarchi informato della situazione lo affronta e Raffaele Costanzo nega l’evidenza, finendo comunque per essere picchiato, percosso sia all’interno che all’esterno del locale, insieme a chi arriva sul posto in suo soccorso: il fratello Vitaliano e Francesco Squillace. Tenuto conto dell’imminente arrivo delle Forze dell’ordine, Mirarchi invita Raffale Costanzo a proseguire la vicenda nel suo bar, ma lo attende invano nel locale armato di fucile e decide di rientrare a casa. Dopo viene avvertito da un dipendente del bar che avevano sparato alle vetrine del locale e in seguito avrebbe saputo che alcuni colpi di arma da fuoco erano stati esplosi anche contro un’auto in sosta vicino casa sua.

La vendetta di Mirarchi e l’accordo con i Costanzo sulla droga

Mirarchi prepara la vendetta, recupera due fucili con relativo munizionamento e li nasconde nel quartiere Sant’Antonio, a pochi passi da quello di Mater Domini, dove c’era la casa dei fratelli Costanzo. Monitora i loro spostamenti e controlla per qualche giorno le loro abitudini. Nel frattempo viene informato del tentativo di mediazione cercato dai fratelli Costanzo sia attraverso Cosimino Abbruzzese “U Tubu”, vertice del clan degli zingari, nonostante questi fosse agli arresti domiciliari e Massimo Sabato, due figure apicali del clan di Gagliano. Mirarchi incontra Lorenzo Iiritano condannato insieme a Sabato, in via definitiva nell’operazione Revenge, a Mater Domini, di fronte ad un tabacchino e gli chiede di desistere dalla sua vendetta, sottolineando che i fratelli Costanzo hanno paura di uscire di casa per timore di rappresaglie e lo invita a chiarirsi con loro. Si incontra con i due fratelli, che erano insieme anche a Squillace e i Costanzo si scusano dell’accaduto, promettendo di non ripetere simili errori, anche perché sono al corrente, grazie all’intervento di Lorenzo Iiritano e Maurizio Sabato, dell’interessamento di soggetti di Isola Capo Rizzuto a favore di Mirarchi in questa lite. Il pentito viene rassicurato sul pagamento dei danni provocati alla vetrina del bar e raggiungono anche un accordo sul loro approvvigionamento di marijuana dallo stesso canale utilizzato da Santino nella zona di Gioia Tauro, riconoscendo a quest’ultimo una percentuale sulle forniture. Le dichiarazioni di Mirarchi, tra l’altro, trovano riscontro nell’ambito dell’inchiesta Jonny. Secondo la Dda di Catanzaro questa vicenda è estremamente significativa per delineare il gruppo dei Costanzo e la loro pericolosità sociale. Forti de nome che portano insieme ai loro sodali “hanno l’ardire di spacciare sotto la sfera di influenza di Mirarchi e addirittura di sparare contro le vetrine del suo bar e nei pressi della sua abitazione.

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