Guai, amori e amicizie: il profilo di Matacena, ex deputato calabrese morto latitante

Nella tarda mattinata di oggi l'ex deputato cominciato ad avvertire fitte dolorose al petto, tant’è che la sua compagna aveva richiesto il soccorso immediato

Amedeo Gennaro Raniero Matacena, 59 anni compiuti ieri, discusso parlamentare di Forza Italia, è spirato oggi a Dubai su un’ambulanza. Gli era accanto la compagna Maria Pia Tropepi, medico chirurgo, originaria di Gioia Tauro, che stava condividendo la sua latitanza nell’emirato dopo la sentenza definitiva di condanna a tre anni di reclusione inflittagli dal Tribunale di Reggio Calabria, su richiesta della direzione distrettuale antimafia, per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo quanto si è appreso, Matacena era stato già ricoverato nei giorni scorsi in un ospedale perché accusava problemi alla colecisti. Dopo alcuni giorni di degenzaera stato dimesso e fatto rientrare nell’abitazione, nel centro di Dubai. Nella tarda mattinata di oggi, però, aveva cominciato ad avvertire fitte dolorose al petto, tant’è che la sua compagna aveva richiesto il soccorso immediato. Il dramma si è consumato velocemente mentre l’ex parlamentare azzurro si trovava sull’ambulanza, poco prima che giungesse al pronto soccorso ospedaliero.

La maxi inchiesta Olimpia

La maxi inchiesta Olimpia

Amedeo Matacena, figlio di Amedeo senior, apparteneva ad una stirpe di armatori che aveva dato inizio negli anni ’60 al traghettamento privato degli automezzi nello Stretto di Messina. Imprenditore con molteplici attività, Matacena era stato legato all’annunciatrice televisiva Alessandra Canale, da cui aveva avuto un figlio, e successivamente si era sposato con Chiara Rizzo, da cui aveva avuto un secondo figlio, e dalla quale aveva recentemente divorziato, fino a legarsi ad Anna Maria Tropepi. Attivissimo in politica fin dalla fondazione di Forza Italia, seppure con un passato nel Pli, Matacena viene eletto a Montecitorio nel 1994 nel collegio uninominale di Reggio Calabria-Villa San Giovanni nel ‘Polo del Buongoverno’, seggio che riconquista nel 1996, fino al 2001, quando, inaspettatamente non viene ricandidato. Su di lui, infatti, pende fin dagli anni ’90 la maxi inchiesta “Olimpia”, un’indagine della Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria in cui furono ricostruiti i rapporti mafia-politica a Reggio e in Calabria e molte delle vicende sanguinose scaturite dalla così detta ‘seconda guerra di ndrangheta’, iniziata con l’omicidio del boss Paolo De Stefano, il 10 ottobre del 1985, ad opera di alcuni gruppi ‘secessionisti’, a lui prima legati.

La fuga all’estero

Da quelle vicende, iniziano i guai giudiziari per l’ex parlamentare. Scaricato da Forza Italia e senza l’immunità parlamentare, Amedeo Matacena è inseguito dagli inquirenti soprattutto per i suoi asseriti rapporti con la cosca Rosmini, una delle più potenti del panorama ndranghetistico reggino, di cui si era avvalso, secondo l’accusa, per ottenerne l’appoggio elettorale. Matacena, nel luglio 2012, subisce la prima condanna in Appello, anche per i suoi contatti con il clan Alvaro di Sinopoli. Fu fotografato al matrimonio della figlia del boss Carmine Alvaro ‘u cupertuni”, fino alla sentenza definitiva della Cassazione a tre anni di reclusione, inflittagli nel luglio 2014, dopo numerosi ricorsi e contro ricorsi. Al momento della condanna, Amedeo Matacena era già residente nel Principato di Montecarlo, dove si era sposato con Chiara Rizzo, appartenente ad una famiglia borghese di Messina. L’ex parlamentare, in maniera ancora non chiarita, anticipa la richiesta di estradizione e riesce a raggiungere le isole Seychelles, e da lì, ripara a Dubai, dove viene immediatamente fermato da operatori della ‘intelligence’ italiana che gli sequestrano il passaporto, notificandogli il mandato di cattura internazionale. Nella fuga all’estero, secondo le indagini condotte dal Procuratore distrettuale aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, viene aiutato dall’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola, ed un successivo tentativo di Matacena di raggiungere il Libano, viene bloccato per indisponibilità delle autorità della Repubblica mediorientale. Claudio Scajola, per procurata inosservanza della pena, verrà successivamente condannato in primo grado dai giudici di Reggio Calabria a un anno di reclusione.

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