“Il quarto giorno il mare è diventato brutto. Abbiamo pregato e basta. Dopo l’urto ognuno ha cercato di salvasi da solo, aggrappandosi a dei pezzi di legno della barca”. E’ il racconto di uno dei superstiti del naufragio di Steccato di Cutro ascoltato oggi all’incidente probatorio davanti ai giudici del Tribunale dei minorenni di Catanzaro che devono stabilire la responsabilità del 17enne pakistano indicato come uno degli scafisti. “Prima di partire – ha aggiunto il teste rispondendo alle domande del procuratore de minori e deli avvocati – gli scafisti non ci hanno detto se l’arrivo sarebbe stato sicuro o insicuro, sulla spiaggia o in un porto. Ma noi contavamo sul fatto che appena giunti nelle acque italiane ci avrebbero salvato. Nessuno degli scafisti ha aiutato noi passeggeri naufraghi dopo l’urto, c’erano solo due carabinieri in spiaggia che aiutavano. Anche io ho salvato persone. Ho nuotato dieci, dodici minuti per arrivare a terra”.
“Mi hanno fatto stare sempre sottocoperta. Non mi sono reso conto che il mare era così tanto agitato, da sotto non si sentiva. Poi mi sono molto preoccupato. Non ho ancora pagato il prezzo: 8.100 euro”. Quanto al ‘trasporto’, “Gli scafisti mi hanno rassicurato – ha aggiunto il teste – , ma da chi aveva affrontato il viaggio prima di me sapevo che, giunti nelle acque italiane, saremmo stati salvati. Sapevo che l’Italia protegge. Quando sono arrivato sulla spiaggia c’erano solo un pescatore e due carabinieri” ha concluso.
“Mi hanno fatto stare sempre sottocoperta. Non mi sono reso conto che il mare era così tanto agitato, da sotto non si sentiva. Poi mi sono molto preoccupato. Non ho ancora pagato il prezzo: 8.100 euro”. Quanto al ‘trasporto’, “Gli scafisti mi hanno rassicurato – ha aggiunto il teste – , ma da chi aveva affrontato il viaggio prima di me sapevo che, giunti nelle acque italiane, saremmo stati salvati. Sapevo che l’Italia protegge. Quando sono arrivato sulla spiaggia c’erano solo un pescatore e due carabinieri” ha concluso.