L’editoriale, Calabria: storia di una terra bellissima ma disgraziata

di Danilo Colacino – “Dottore, questa è una terra bellissima ma disgraziata”. Disse più o meno così a fine aprile del 1980 all’allora giudice istruttore Paolo Borsellino, dopo avergli consegnato in Tribunale a Palermo un riservatissimo fascicolo d’indagine, il capitano dei carabinieri Emanuele Basile, peraltro appena una manciata di giorni prima di essere ‘freddato’ in centro a Morreale, mentre, insieme a moglie e figlia, assisteva ai fuochi d’artificio sparati in occasione della festa per la processione del Santissimo Crocifisso.

Una esecuzione in piena regola perpetrata da un killer inviato dalle cosche siciliane. Sicario che doveva fermare il lavoro condotto con successo dallo stesso ufficiale dell’Arma, oltreché fargliela pagare sul piano personale per l’impegno a cui andava ascritto il merito senza pari di aver portato alla luce fatti di estrema pericolosità per gli interessi perversi della consorteria malavitosa sul punto di registrare una fino ad allora inconcepibile e ‘innaturale’ santa alleanza fra capifamiglia palermitani e loro omologhi corleonesi. Già: le terribili storie di un Sud, di cui fa parte anche la Calabria, baciato da Dio – o da Madre Natura, se preferite – però al contempo condannato a una dannazione eterna: la presenza della mafia, intesa nelle sue varie articolazioni di ‘Ndrangheta, Camorra, Sacra Corona Unita e la citata Cosa Nostra.

Una esecuzione in piena regola perpetrata da un killer inviato dalle cosche siciliane. Sicario che doveva fermare il lavoro condotto con successo dallo stesso ufficiale dell’Arma, oltreché fargliela pagare sul piano personale per l’impegno a cui andava ascritto il merito senza pari di aver portato alla luce fatti di estrema pericolosità per gli interessi perversi della consorteria malavitosa sul punto di registrare una fino ad allora inconcepibile e ‘innaturale’ santa alleanza fra capifamiglia palermitani e loro omologhi corleonesi. Già: le terribili storie di un Sud, di cui fa parte anche la Calabria, baciato da Dio – o da Madre Natura, se preferite – però al contempo condannato a una dannazione eterna: la presenza della mafia, intesa nelle sue varie articolazioni di ‘Ndrangheta, Camorra, Sacra Corona Unita e la citata Cosa Nostra.

Una Piovra che non ti consente di stare tranquillo, neppure quando sei al bar con un conoscente. E lo dimostra l’ultima, solo in ordine di tempo, operazione antindrangheta di ieri. Sì, proprio l’inchiesta ‘Orthrus’ in cui è stato coinvolto – pur se tenuto al riparo da provvedimenti dal Gip, che non ha accolto l’impianto accusatorio su di lui – l’ex sindaco di Torre di Ruggiero oltreché aspirante consigliere regionale Giuseppe Pitaro, detto Pino dagli amici, il quale a giudizio dei Pm avrebbe mostrato un’eccessiva ‘viciniorietà’ alla ‘ndrina oggetto della retata. Ebbene, sul punto restiamo basiti, e se ce lo consentite pure perplessi, conoscendo il professionista, prim’ancora che l’uomo politico, perbene e preparato.

Persona che forse, nella ‘terra bellissima ma disgraziata’ in cui è nato e vive, come semplice cittadino innanzitutto ha magari avuto il torto di stringere qualche mano sbagliata o bere un caffè di troppo in ‘brutta compagnia’. Leggerezza o atto di cortesia, chissà. Ma che in una realtà quale quella calabrese può costare caro. L’auspicio, però, è che la verità venga alla luce con la magistratura libera di operare com’è giusto sia.

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