Manzini a Palazzo de Nobili: “Donne custodi ancora presenti nelle famiglie ‘ndranghetiste” (VIDEO)

"Nelle cosche esistono anche madri che hanno voluto dare una scossa alla propria vita cercando nuove opportunità per se stesse e per i propri figli"

“Se Giuseppina non avesse compiuto una scelta radicale, che l’ha condotta in una località protetta, lontano dalla sua famiglia di ‘ndrangheta, a quei ragazzi sarebbe toccata la sua stessa sorte”, finire dietro le sbarre. Un breve stralcio di Donne Custodi. Donne Combattenti l’ultimo libro di Marisa Manzini Sostituto Procuratore Aggiunto della Procura generale di Catanzaro che restituisce un’immagine forte del ruolo della donna all’interno delle ‘ndrine al quale è demandato il compito di tramandare i valori mafiosi ai figli oppure di ribaltarne il destino. L’opera è stata presentata oggi pomeriggio nella sala concerti di Palazzo de Nobili, a Catanzaro con il contributo del docente di Diritto Privato dell’Università Magna Graecia Valerio Donato.

Donne custodi e donne combattenti

“L’intenzione nello scrivere questo libro – ha spiegato il magistrato Marisa Manzini – è stata quella di fare un focus sulla posizione delle donne all’interno delle organizzazioni criminali ‘ndranghetiste. Donna che ha un ruolo diverso, a seconda dei casi. Il ruolo originario è quello di custode dei disvalori della ‘ndrangheta e conseguentemente di soggetto che li trasferisce ai figli, alle nuove generazioni. Allo stesso tempo però nelle cosche sono originate altre figure di donne. Madri che hanno voluto dare una scossa alla propria vita cercando nuove opportunità per se stesse e per i propri figli. Sono loro le donne combattenti che hanno deciso di allontanarsi dai clan e avvicinarsi allo Stato per avviare un’attività di collaborazione. Le donne custodi sono state e sono a tutt’oggi presenti nelle famiglie ‘ndranghetiste.

Un esempio. Romana Mancuso di Limbadi nel tempo ha tentato di mantenere coesa la famiglia. Infatti quando nel discutere con il fratello Pantaleone Mancuso, boss dell’omonimo clan, si rende conto delle crepe esistenti vuole riportare all’unità che ne determina la potenza. Una donna combattente della famiglia Mancuso, invece, è sicuramente stata Tita Buccafusca, moglie di un altro Pantaleone Mancuso (alias Scarpuni) che nel corso della sua esistenza ha deciso per salvare il suo figlioletto di avvicinarsi allo Stato. Tita non è riuscita a portare a compimento la sua scelta, l’epilogo è stato tragico: formalmente è morta suicidata ingerendo acido muriatico, anche se i dubbi permangono sulla genuinità di questa versione dei fatti. Le donne oggi sono certamente più consapevoli perché studiano, vanno a scuola, e dove ci sono dirigenti illuminati che trattano il tema della ‘ndrangheta comprendono che si tratta di una realtà negativa di questo territorio”.

Il dramma della donna ribelle

“Questo libro – afferma Valerio Donato – è importante perché affronta un particolare profilo della mafia facendo percepire degli elementi che in passato non sono stati sottolineati, come quello del ruolo della donna nella ‘ndrangheta. Donne custodi. Donne combattenti parte da un’analisi generale di come nasce, di come sopravvive la mafia, ponendo in evidenza come centrale nell’organizzazione mafiosa sia la famiglia nella quale la donna svolge un ruolo decisivo. Una posizione nevralgica non soltanto per far nascere le nuove leve dei clan, ma anche per conservarli, per sopperire alla mancanza dei boss. In questo libro il fenomeno mafioso viene tratteggiato in maniera scientifica, sottolineando quanto sia importante il modello educativo che è presente nei nostri territori e di quanto approdi poi la mafia nello schema tradizionale di famiglia in cui la donna è relegata in secondo ordine. Esiste la donna che si ribella, cui scelte vengono percepite in maniera più drammatica. Il fatto che il tradimento della donna nei confronti del marito mafioso vanga punito con l’omicidio, non è solo un fatto di tutela dell’onore, ma riguarda l’aver messo in discussione il nucleo fondamentale su cui poggia “l’etica” ‘ndranghetista”. (mti)

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