Referendum giustizia, perché sì? Perché no? Falvo e Murgano: due diverse posizioni a confronto

Dibattito sulle ragioni del "Si" e del "No" a confronto a pochi giorni dal voto con il procuratore di Vibo Falvo e l'avvocato Murgano sul referendum giustizia

“Rispetto a un silenzio generale e assordante cui stiamo assistendo, noi avvertiamo forte la necessità di creare un momento di confronto, per approfondire e meglio capire, al fine di informarci e quindi poter esprimere un voto consapevole”. Con questa premessa l’associazione Libera ha organizzato, a pochi giorni dal voto sul referendum giustizia, un interessante confronto sulle ragioni del Sì e del No. A confrontarsi e discutere, l’altro pomeriggio nel salone del Valentianum, sono stati invitati il Procuratore della Repubblica di Vibo, Camillo Falvo e il Presidente della Camera penale Catanzaro, Valerio Murgano. All’incontro, moderato dal direttore di Calabria7, Mimmo Famularo, sono intervenuti, per portare i saluti, Maria Limardo, sindaca di Vibo Valentia, e Giuseppe Borrello, referente provinciale di Libera.

Confronto tra Falvo e Murgano

Confronto tra Falvo e Murgano

L’elevata competenza giuridica, la professionalità, il fair play di Camillo Falvo e Valerio Murgano hanno rotto quel «muro di silenzio», quell’ipocrisia e luogo comune (quantomeno per gli attenti astanti) che considera i cinque referendum sulla giustizia “incomprensibili” e di poca importanza. Oltre a tutto, è stato ritenuto rilevante discutere delle ragioni del No e del Sì e non di quelle dell’astensione. “Il minare la credibilità dei cinque referendum, l’insabbiamento da parte dei mass media – ha espresso l’avvocato Murgano che sosteneva le ragioni del Sì – parte da lontano, con la bocciatura della Consulta di quei due referendum, fine vita e legalizzazione della cannabis, che avrebbero avuto certamente più appeal e la possibilità di raggiungere il quorum sarebbe stata molto più concreta”.

Perché no e perchè sì

Il primo quesito esaminato è stato quello riguardante la cosiddetta “legge Severino” ovvero l’abrogazione del Testo unico delle disposizioni in materia di “incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi”.
“In altri Paesi non c’è bisogno di arrivare alla sentenza di condanna in primo grado – ha detto il procuratore Falvo analizzando le implicazioni, più che le ragioni del Sì e del No, ai quesiti referendari -, determinati atteggiamenti che implicano la sfera morale delle condotte dei soggetti determinano le dimissioni di tanti politici amministratori per il solo fatto che vengono contestati fatti nemmeno rilevanti”. A sostegno dell’abrogazione della “Severino”, Valerio Murgano ha richiamato, tra l’altro, il “principio di non colpevolezza” affermando che se un soggetto è innocente fino a sentenza definitiva, questo fa sì che “non si possa estrometterlo dalla vita pubblica, violando la sua libertà personale prima di subire i successivi giudizi dove, come spesso accade, si rileverà innocente”.
Approfondito, dotto e pacato è stato il confronto anche su gli altri quattro referendum: il quesito numero due che interviene sulla “limitazione delle misure cautelari”; il terzo sulla “separazione delle funzioni” dei magistrati; quello sul “sistema di valutazione dei magistrati” e l’ultimo, riguardante il meccanismo di selezione dei magistrati candidati alle elezioni del Csm.

Falcone e la separazione delle carriere

Discutendo del terzo quesito, eloquente e toccante è stata la riproposizione di un passaggio di Giovanni Falcone del 1991: “Un sistema accusatorio parte dal presupposto di un pubblico ministero che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento, dove egli rappresenta una parte in causa. Gli occorrono, quindi, esperienze, competenze, capacità, preparazione anche tecnica per perseguire l’obbiettivo. E nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di para-giudice. Il giudice, in questo quadro, si staglia come figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti. Contraddice tutto ciò il fatto che, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e Pm siano, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri. Chi, come me, richiede che siano, invece, due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera, viene bollato come nemico dell’indipendenza del magistrato, un nostalgico della discrezionalità dell’azione penale, desideroso di porre il Pm sotto il controllo dell’Esecutivo”. (f.p.)

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