Rinascita Scott, il pentito Vrenna: “I Mancuso erano la stessa cosa con i Piromalli e i Pesce”

di Mimmo Famularo – L’ex boss Pino Vrenna ha aperto la serie di udienze riservate alle deposizioni dei collaboratori di giustizia nell’ambito del maxi processo “Rinascita Scott” in corso di svolgimento nell’aula bunker del polo industriale di Lamezia Terme. Collegato da un sito riservato, il pentito crotonese ha risposto alle domande del pm antimafia Annamaria Frustaci nel troncone ordinario che vede imputati oltre 300 persone. Un’ora di escussione dinnanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia (presidente Cavasino, a latere Romano e Caputo) sostanzialmente dedicata ai collegamenti della sua famiglia, i Vrenna-Bonaventura con quelle degli altri territori calabresi, e alla figura del Crimine che il collaboratore di giustizia ha identificato nella “persona responsabile del proprio locale con ‘ndrine distaccate nel proprio paese”.

Il profilo di Pino Vrenna

Il profilo di Pino Vrenna

Accusato di associazione mafiosa e narcotraffico, Pino Vrenna ha iniziato la sua carriera criminale quando non aveva ancora compiuto la maggiore età. Da “picciotto” ha scalato le gerarchie mafiose fino a diventare un vero e proprio boss. Figlio di Luigi Vrenna, il capo società dell’omonima famiglia di Crotone, ha ricoperto ruoli apicali all’interno della cosca, guidata prima dal padre, poi dal fratello Raffaele e quindi dal fratellastro Gianni Bonaventura. Da un decennio collabora con la giustizia ed è considerato uno dei principali pentiti della ‘ndrangheta crotonese.

Il Crimine da Catanzaro a Crotone

Vrenna ha riferito al pubblico ministero di aver sentito parlare della figura del “Crimine” fin dagli anni sessanta. “Inizialmente – ha spiegato – era a Catanzaro e l’aveva un certo Peppe Catanzariti. Siccome Catanzaro non aveva capienza di uomini, le società venivano quindi formate a Crotone dove invece c’era maggiore capienza”. Secondo il pentito lo zio Peppino Vrenna sarebbe stato il primo ad avere nel Crotonese la figura di Crimine. Tutti erano legati a San Luca, la “mamma” della ‘ndrangheta. “Zio Peppino, ovvero Giuseppe Vrenna, era il cugino di mio padre ed era il capobastone. Era lui che comandava prima di mio papà negli anni sessanta. Poi toccò a mio fratello Raffaele e con lui si iniziarono a formare le società: la maggiore da una parte e la minore dall’altra. Negli anni ottanta è poi subentrato l’altro mio fratello Gianni Bonaventura”. Vrenna ha svelato che la figura del Crimine rimase inizialmente a Catanzaro per diversi anni anche dopo la morte di Catanzariti. “A lui – ha dichiarato – è subentrato Alfredo Consolino che ogni sabato veniva a Crotone. Aveva un tabacchino vicino allo stadio di Catanzaro. Ci è rimasto sempre questo contatto fino alla sua morte”. Il Crimine di Catanzaro includeva i paesi che erano intorno a Crotone che, all’epoca ovviamente non era provincia. Le cose cambiarono dopo le prime retate e la raffica di arresti che decimarono le cosche negli anni ottanta. “Così è subentrato Cirò Superiore con i Farao-Marincola e con Peppe Farao al quale Paolo De Stefano e Ciccio Canale diedero la dote di Crimine”.

La ‘ndrangheta e il Crimine a Vibo

Vrenna ha brevemente parlato della situazione a Vibo, epicentro del maxi processo “Rinascita Scott”. “Su questo territorio – ha ribadito – comandavano i Mancuso. I fratelli più anziani di Luigi, se ricordo bene Antonio e Francesco, erano coloro che avevano il Crimine che era dato da San Luca. Luigi subentrò giovane ai due fratelli. C’era un periodo – ha poi ricordato il pentito – che i Mancuso erano la stessa famiglia con i Piromalli e i Pesce. Si vociferava di un’alleanza e si dividevano tra di loro tutti i lavori”.

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