Uccisi e dati alle fiamme nel Catanzarese, per i giudici il pentito Mirarchi è inattendibile. Atti alla Dda

In quarantanove pagine le motivazioni che hanno portato all'assoluzione dei due imputati "per non aver commesso il fatto"

Il pentito Santino Mirarchi ha mentito sulle dichiarazioni rese sul duplice omicidio di Massimiliano Falcone e di Davide Iannoccari, avvenuto il 20 novembre 2006 a Taverna nel Catanzarese, non c’è certezza sull’ora della loro morte e se ci sono dubbi sull’orario non può nemmeno essere data per scontata la presenza dei due imputati nel luogo del delitto, accusati di aver freddato a colpi di arma da fuoco i due uomini, di averne spostato i corpi nelle campagne di Sorbo San Basile, con l’intento di darli alle fiamme, per far sparire ogni traccia. 

“Nessuna prova contro i due presunti killer”

“Nessuna prova contro i due presunti killer”

 Si tratta di tre punti cruciali secondo la Corte di assise di Catanzaro, presieduta da Alessandro Bravin, messi in evidenza durante le articolate arringhe difensive degli avvocati Salvatore Staiano, Guido Contestabile e Antonio Lomonaco, che hanno portato all’assoluzione il 28 febbraio scorso, con la formula per non aver commesso il fatto, di Salvatore Abbruzzo, 46 anni e Francesco Gualtieri, 43 anni (LEGGI), coloro che la pubblica accusa considera i due presunti killer, tanto da chiedere per entrambi al termine della requisitoria il carcere a vita.  Per i giudici non ci sono prove che sia stati loro gli assassini dei due efferati delitti, che si inquadrano nella faida tra esponenti di gruppi ‘ndranghetisti attivi nella frazione di Roccelletta di Borgia e aree vicine, facenti capo al gruppo Catarisano, contrapposti a quello dei Cossari-Falcone, motivando in quarantanove pagine lo sgretolarsi dell’impianto accusatorio.  E se è vero che le propalazioni di altri pentiti  possono ritenersi attendibili o neutri, perché inquadrano un delicato periodo storico o perché si limitano a qualificare Abbruzzo e Gualtieri, “azionisti” in seno alla cosca di appartenenza, particolarmente temuti per la loro inclinazione a compiere efferate azioni sanguinarie, senza addentrarsi in questo duplice omicidio, lo stesso non può dirti del collaboratore di giustizia Santino Mirarchi, “le cui contestazioni difensive hanno evidenziato, una monumentale contraddizione logica e una documentata falsificazione”.

Le contraddizioni e le dichiarazioni mendaci

Non è una novità che il pentito Santino Mirarchi abbia più volte fatto riferimento, nel corso di diversi interrogatori, alle consorterie criminali operanti a Roccelletta di Borgia e a Vallefiorita, avendo avuto modo di conoscere parecchie persone che nel tempo si sono avvicendate quali referenti della criminalità attiva in questi territori. Un collaboratore di giustizia ritenuto credibile dagli inquirenti, perché intraneo alla cosca Arena e comunque in rapporti strettissimi e trasversali con varie altre cosche della criminalità organizzata.  Ma non per la Corte di Assise almeno per quanto concerne il duplice omicidio Falcone-Iannoccari. La difesa aveva evidenziato come durante il suo primo interrogatorio il pentito catanzarese aveva parlato solo di sospetti circa la riconducibilità del duplice omicidio e non aveva fatto menzione a notizie ricevute circa gli esecutori materiali del delitto. “Il collaboratore, scrivono i giudici della Corte d’Assise, ha assunto di non aver rievocato quelle conoscenze ‘forse perché’ non era ‘entrato in questo argomento’, ma l’affermazione è affatto inconciliabile con la circostanza che l’oggetto esclusivo di esame fosse proprio quel duplice omicidio”.

“Non era a conoscenza dei fatti. Atti alla Dda”

Inoltre Mirarchi aveva dichiarato di aver saputo i nomi degli esecutori materiali durante un incontro, avvenuto un mese e mezzo dopo l’omicidio, dove erano presenti anche due esponenti del clan Arena. Secondo quanto emerso dai certificati del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria entrambi gli uomini erano in quel momento detenuti. “Per i giudici non si è trattato di sovrapposizioni di fatti nella memoria ma di mendacio, non aveva conoscenza dei fatti, aldi là dei sospetti nutriti dagli accoliti”.  Dichiarazioni false che avevano spinto l’avvocato Guido Contestabile a chiedere la trasmettere degli atti in Procura e ora si attendono le determinazioni della Dda in merito.

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