“Basso Profilo”, le spie dell’imprenditore Gallo all’interno della polizia giudiziaria

di Mimmo Famularo – Ci sono anche due finanzieri, un carabiniere e un poliziotto tra gli 81 indagati nell’ambito dell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, nome in codice “Basso profilo”. Sarebbero le “talpe” al servizio del presunto cartello criminale sgominato dagli investigatori della Dia nella maxi operazione scattata all’alba di oggi. Secondo l’accusa il loro compito era quello di fornire informazioni riservate su operazioni di polizia consultando abusivamente anche banche dati istituzionali. Non c’è solo il luogotenente della Finanza (oggi in pensione) Ercole D’Alessandro, 61 anni di Catanzaro, finito in carcere insieme ad altre dodici persone, tra le quali anche il figlio Luciano (LEGGI QUI). Deve rispondere di rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio anche Roberto Mari, 53 anni di Sellia Marina, luogotenente appartenente al Gruppo della Guardia di Finanza di Catanzaro (indagato a piede libero). E’ a lui che D’Alessandro si sarebbe rivolto all’indomani dell’operazione “Borderland” con la quale la Dda aveva disarticolato la cosca Trapasso di Cutro (frazione di San Leonardo). In particolare, Mari avrebbe informato D’Alessandro della esistenza di approfondimenti investigativi che coinvolgevano l’imprenditore Gallo e che miravano a provare alcune condotte di riciclaggio in favore della cosca Trapasso. Informazioni girate da D’Alessandro allo stesso imprenditore al quale – secondo quanto sostengono gli inquirenti – venivano anche date indicazioni a non utilizzare i telefoni e a effettuare solo comunicazioni telematiche mantenendo un profilo basso.

La rapina al caveau e le soffiate del poliziotto

La rapina al caveau e le soffiate del poliziotto

Le condotte di Ercole D’Alessandro hanno tirato in ballo nell’inchiesta pure il nome di un ispettore di Polizia, Santo Mancuso, 48 anni di Catanzaro (indagato senza alcuna misura cautelare), all’epoca dei fatti (marzo 2018) in servizio alla Squadra Mobile di Catanzaro che stava indagando sulla rapina al caveau della Sicurtrasport di Caraffa avvenuta nel dicembre del 2016. Mancuso avrebbe violato il segreto istruttorio rivelando al finanziere una serie di notizie strettamente riservate in ordine alle indagini: la presenza di una collaboratrice di giustizia (sottoposta a programma di protezione in una località siciliana) che aveva accusato il compagno e altri tre presunti autori della rapina rivelando l’esistenza di un’informativa della Polizia che si accingeva a depositare un decreto di fermo sulla vicenda.

Una talpa nei carabinieri

Tra gli indagati a piede libero figura il nome di un altro militare. Si tratta del maresciallo maggiore dell’Arma dei Carabinieri Antonello Formica, 48 anni di Settingiano, che nell’agosto del 2017, all’epoca dei fatti contestati dagli inquirenti, era in servizio alla Compagnia Carabinieri di Sellia Marina. Avrebbe rivelato a Gallo “di avere sottoposto a intercettazioni i suoi veicoli”, specificando di avere dovuto rimuovere una cimice da un’auto in uso allo stesso imprenditore che era stata coinvolta in un sinistro (rimozione necessaria per evitare che l’apparecchio fosse scoperto). “Un dato lumeggiante – scrivono i pm Paolo Sirleo e Veronica Calcagno – la attitudine di Gallo a legarsi a terze persone lo si ricava dalle interlocuzioni con il maresciallo maggiore dei carabinieri Antonello Formica, già in servizio presso il Nucleo Operativo e radiomobile della Compagnia di Sellia Marina, oggi in servizio al Comando Legione Carabinieri di Catanzaro. Il dato che dimostra come questi rapporti, al pari di quelli intrattenuti con l’allora maresciallo Ercole D’Alessandro, siano anomali lo si evince dal fatto che l’ufficiale di polizia giudiziaria sapesse bene chi fosse il proprio interlocutore, ne conoscesse le sue vicissitudini giudiziarie e, addirittura, si spingesse ad affermare di avere sottoposto ad attività intercettive Gallo, ponendogli delle apparecchiature nel suo veicolo”. Quel che connota negativamente il rapporto tra i due, si legge nella richiesta della Dda, “è la mancanza del necessario distacco di un ufficiale di polizia giudiziaria da un soggetto che in quel periodo storico era stato interessato dalla indagine Borderland, con una imputazione che, per quanto non abbia pienamente retto nella fase di merito inquadrava in termini negativi la personalità dell’imprenditore”.

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