Fare il magistrato in Calabria, le parole del vice presidente del Csm e lo sfogo della pm di Catanzaro: “Si ignorano i sacrifici”

Per Fabio Pinelli lavorare troppo tempo in un territorio difficile aumenta il rischio di collusione. L'ira delle correnti progressiste

“Il radicamento sul territorio per moltissimi anni, soprattutto nei territori caratterizzati da profili di sensibilità di criminalità organizzata, ha sicuramente un lato positivo ma anche un lato negativo, che ha riguardo le potenziali interferenze nell’esercizio delle funzioni, che sono frutto di convivenze sociali non certo di volontaria cessione a forme di indebita collusione”. Sono le parole pronunciate dal vice presidente del Csm Fabio Pinelli nel motivare il suo voto (decisivo) a favore di Caterina Chiaravalloti preferita a Olga Tarzia quale presidente della Corte d’appello di Reggio Calabria. Parole che hanno scatenato l’ira di Area democratica per la Giustizia, la corrente di sinistra delle toghe. “Lavorare in terra di mafia non può esporre un tale generico, quanto ingeneroso pregiudizio. Siamo anzi convinti – si legge in una nota diramata da Area – che i sacrifici personali e professionali dei colleghi che operano in quelle realtà meritano la massima riconoscenza di tutti”.

Le enormi difficoltà quotidiane dei magistrati “del posto”

Si dice profondamente offesa dalle dichiarazioni di Pinelli, Graziella Viscomi, sostituto procuratore a Catanzaro, componente di Area, calabrese, da 12 anni in servizio in Calabria terra “bellissima” ma anche “amara” dove ha deciso di restare per lavorare con “sacrificio e fatica”. Sulla sua pagina Facebook ha commentato le parole del vice presidente del Csm:  “Si ignora, evidentemente, che (anche a prescindere dagli aspetti più gravi) anche la più banale scelta di vita quotidiana (dove fare la spesa, dove passare una serata con gli amici, chi frequentare, che parrucchiere scegliere, ecc.) sia continua fonte di scrupolo e problema. Si ignora, cosa significa incontrare per strada (magari mentre sei con la tua famiglia) una persona che hai arrestato o mandato a giudizio. Si svilisce la dignità e moralità dei magistrati “del posto” (chi ci è nato, chi ci è rimasto) ignorando colpevolmente le enormi difficoltà quotidiane ed il sacrificio continuo in termini di quantità del lavoro da fare, di complessità e delicatezza delle questioni da affrontare, di rinunce della vita privata”.

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