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Francesco Maria Barracu, l’uomo di Mussolini tra segretariato federale a Catanzaro e il legame col principe Pignatelli

Fucilato ed esposto a piazzale Loreto assieme al "duce", affidò al principe di Cerchiara di Calabria la creazione della "Guardia ai labari"

di Bruno Gemelli – I cinegiornali del secolo scorso, ma anche i film “storici” come “Mussolini ultimo atto” (1974) di Carlo Lizzani, con Rod Steiger, Henry Fonda, Franco Nero, hanno fatto vedere un tizio orbo accanto a Mussolini. Il personaggio in questione era Francesco Maria Barracu (1/11/1895 – Dongo, 28/4/1945) che perse un occhio il 3 marzo 1937 durante un rastrellamento, ottenendo così la medaglia d’oro al valor militare. Nel citato film era interpretato da Andrea Aureli. La classica benda nera, stile Moshe Dayan, o come usavano i corsari, ma loro l’impiegavano per salvare l’occhio buono. L’iconografia della celluloide ha sempre caratterizzato il personaggio Barracu. Ma chi era veramente?

La fine comune col “duce” e il segretariato federale a Catanzaro

La fine comune col “duce” e il segretariato federale a Catanzaro

Partiamo dalla fine: fu catturato con Benito Mussolini mentre si dirigevano verso la Valtellina, venendo quindi fucilato dai partigiani, che ne esposero il cadavere a piazzale Loreto a Milano; tra gli impiccati c’era anche un calabrese: Vito Casalinuovo di San Vito sullo Ionio.
Francesco Maria Barracu nacque a Santu Lussurgiu in provincia di Oristano da Antonio e da Maria Motzo.
“Nella prima guerra mondiale – scrive l’enciclopedia Treccani – prestò servizio in Libia come ufficiale di fanteria. Smobilitato, il 31 agosto 1921 si iscrisse ai fasci di combattimento e successivamente ebbe piccoli incarichi nel Partito nazionale fascista. Nel 1935-37 partecipò alla campagna d’Etiopia e alle successive operazioni di ‘grande polizia’, come capitano comandante il 30 battaglione arabosomalo (dubat). Il 3 marzo 1937, a Uara Combo, fu gravemente ferito (perse un occhio) in un’azione di rastrellamento di bande ‘ribelli’: per il valoroso comportamento in questo scontro fu insignito di medaglia d’oro al valore militare.
Tornato in patria, svolse una certa attività giornalistica, occupandosi soprattutto di questioni coloniali; tra l’altro collaborò a ‘Espansione imperiale’ e ad ‘Africa italiana’. Nel 1941-42 fu segretario federale di Bengasi (Cirenaica) e successivamente, nel 1943, di Catanzaro […]”.

Il legame col principe Pignatelli di Cerchiara

La storia di Francesco Barracu s’intreccia con quella del principe Valerio Pignatelli di Cerchiara di Calabria. È la storia dei fascisti calabresi raccontata puntualmente da Saverio Paletta su “I Calabresi”, giornale online diretto da Michele Giacomantonio.
“È calabrese d’origine – scrive Paletta – Carlo Scorza (era nato a Paola, dove aveva vissuto fino a 15 anni, prima di trasferirsi a Lucca) l’ultimo segretario del Partito nazionale fascista. È calabrese di adozione Francesco Maria Barracu, nato in Sardegna ma diventato federale di Catanzaro dopo la guerra d’Etiopia e lì rimasto fino all’armistizio. Poi sarebbe andato a Roma e quindi avrebbe seguito Mussolini a Salò. Nella tarda primavera del ’43 le truppe dell’Asse avevano perso l’Africa settentrionale e lo sbarco alleato al Sud era imminente. Alfredo Cucco, il ras fascista della Sicilia, lanciò l’allarme, Sforza lo raccolse e formulò una proposta a Mussolini: organizzare una rete di resistenza fascista che ostacolasse l’avanzata delle truppe alleate.

Il duce approvò e coniò il nome di quest’organizzazione: Guardia ai labari. E incaricò Barracu, suo uomo di fiducia, di darsi da fare. Quest’ultimo, assieme a Scorza, individuò l’uomo adatto per creare e gestire la rete “nera”, che può essere considerata la prima organizzazione neofascista italiana: Valerio Pignatelli.
Il principe Valerio Pignatelli è un personaggio inquieto, che sembra uscito da un romanzo di Dumas padre. Militare dalla carriera intensa ma irregolare, esordì nella guerra di Libia come tenente di cavalleria. Inoltre, partecipò alla Prima Guerra Mondiale come capitano degli Arditi. Poi, a ostilità finite, divenne addetto militare dell’Ambasciata italiana in Ungheria. Fu una piccola pausa, per il principe, che proprio non poteva fare a meno di menare le mani. Infatti, nel 1920 si arruolò nell’Armata bianca di Vrangel per combattere quella rossa di Trockij […]”.
E ancora: “Il Principe raggiunse il massimo di questa bizzarra carriera in Messico, dove riuscì a farsi incoronare imperatore di una piccola regione del sud del Paese. Ma durò in carica solo dieci giorni: il tempo di scappare negli Usa e di sposare Patricia Hearst, una ricca ereditiera.
Anche il matrimonio durò poco: rientrato in Italia, il principe si iscrisse al Pnf. Ma l’adesione al fascismo non gli inculcò alcuna disciplina a Pignatelli, che riuscì a sfidare a duello (e a ferirlo) nientemeno che l’ex segretario Roberto Farinacci.
Prima della Seconda Guerra Mondiale, l’indomito aristocratico partecipò alla guerra d’Etiopia come comandante di un reparto di eritrei e a quella di Spagna. In entrambe, collezionò medaglie e ferite. Non era da meno Maria Elia, nobildonna toscana, che prima di conoscere Valerio aveva sposato il marchese Giuseppe de Seta, da cui aveva avuto quattro figli (di cui uno era il regista Vittorio De Seta n.d.r.), ed era diventata esponente di primo piano della nobiltà meridionale. Rimasta vedova, convolò in seconde nozze col principe di Cerchiara nel 1942″.

Processi mai celebrati e la morte della coppia tra Sellia Marina e Cosenza

“Nel dare il via libera alla rete nera, Mussolini raccomandò prudenza estrema. I suoi fedelissimi non avrebbero dovuto scatenare una guerra civile, ma solo dar fastidio agli occupanti, fare propaganda e, ovviamente, fare le spie in accordo coi vertici del Sid, i servizi segreti di Salò e con la Gestapo.
Il regista dell’operazione era Barracu, nel frattempo diventato sottosegretario della Rsi. Valerio Pignatelli, intanto, si era trasferito a Napoli, in una villa di fronte alla Nunziatella, dove assieme alla moglie, intratteneva rapporti ambigui con gli alti gradi dell’Amgot, l’autorità di occupazione alleata nei territori del Sud, esponenti del fascismo e agenti del Sim, i servizi segreti del Regno d’Italia […].
Cosa curiosa, nessuno riuscì a provare il collegamento tra i dinamitardi calabresi e Pignatelli. Quindi l’accusa di associazione sovversiva cadde. Per fortuna degli imputati, che altrimenti sarebbero finiti davanti al plotone di esecuzione. Ciò non evitò condanne piuttosto pesanti alla maggior parte degli arrestati. Tuttavia, il processo fu annullato dalla Cassazione per vizi di forma; e rinviato a un’altra Corte. Ma non si celebrò mai, perché nel frattempo Togliatti amnistiò i fascisti.
Discorso simile per i Pignatelli, condannati entrambi a dodici anni di carcere. Ne scontarono a malapena uno e qualcosa. Appena scarcerato, Valerio fondò il Movimento sociale italiano assieme agli ex camerati (tra cui Giorgio Almirante n.d.r.). Ma il suo carattere irrequieto ebbe il sopravvento per l’ennesima volta: litigò e si ritirò a vita privata. Scrisse romanzi e memorie e gestì i beni di famiglia fino al 1965, quando morì a Sellia Marina. Maria lo raggiunse tre anni dopo, in seguito a un incidente stradale nei pressi di Cosenza“.

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