di Mimmo Famularo – “Hanno tentato in tutto i modi di screditarmi ma io non ho scheletri nell’armadio e questa è la mia grande forza”. In queste parole c’è tutta la filosofia, il coraggio e la caparbietà di Franco Cascasi, l’imprenditore “visionario” che ha deciso di restare in Calabria. Nonostante tutto. Due parole, queste ultime, che sono diventate un titolo di un libro. Quello che racconta la sua vita e la sua impresa in una terra difficile e maledetta come la Calabria e, più precisamente, Vibo Valentia. Perché Franco Cascasi è soprattutto un imprenditore vibonese, fiero delle sue radici e orgoglioso delle bellezze della sua terra. Ha subito svariate intimidazioni: per due volte gli hanno incendiato “La Rada”, uno dei ristoranti più famosi della costa degli Dei. Non si è mai arreso ed è ripartito. Nel 2013 gli hanno addirittura sparato in casa, ha denunciato e fatto condannare esponenti di spicco della ‘ndrangheta vibonese. “Dopo quella denuncia – racconta – mi sono sentito solo e ho vissuto nella solitudine”. Perché, nel frattempo, per motivi di sicurezza ha preferito spostare la sua famiglia fuori dalla Calabria. A Vibo sono rimaste le sue aziende: “Io amo la Calabria, pago le tasse qui e preferisco dare lavoro ai calabresi”. Franco Cascasi è un imprenditore di successo ma è soprattutto un uomo libero proprio perché non ricattabile e questo, in una terra come quella vibonese, genera invidie e ostacoli spesso nascosti nella penombra della burocrazia e di quella politica miope, restia allo sviluppo del territorio. Negli anni ha dovuto sfidare non solo la criminalità organizzata ma anche quella zona grigia ben descritta nel libro di don Ennio Stamile che racconta nei particolari l’odissea vissuta da Franco Cascasi (LEGGI QUI).
-Quanto è difficile fare l’imprenditore in questa terra bella e maledetta?
-Quanto è difficile fare l’imprenditore in questa terra bella e maledetta?
“E’ veramente molto difficile e pensare a questa situazione mi viene una tristezza unica perché effettivamente la mia esperienza è stata di grande sofferenza. Primo, perché Vibo è un territorio dove vi è una grande presenza della ‘ndrangheta; poi perché vi è una classe dirigente che probabilmente è poco attenta verso questi fenomeni e verso lo sviluppo del territorio. La mia quindi è un’esperienza triste”.
– Quali sono stati gli ostacoli che ha incontrato lungo il suo percorso?
“Nella mia vicenda la cosa primaria è stata la lotta contro la criminalità organizzata che ti insegue giorno dopo giorno. Poi ho dovuto combattere anche con la poca lungimiranza degli enti di saper cogliere delle opportunità che possono servire a sviluppare un territorio e, di conseguenza, anche distruggere il fenomeno criminale portando della ricchezza. La cosa che mi ha colpito di più è stata l’indifferenza della classe dirigente e quindi anche la poca presenza dello Stato in questi anni”.
– Come nasce l’idea di raccontare la sua esperienza in questo libro
“Io da qualche anno sono amico di don Ennio Stamile e abbiamo tuttora un amico in comune che è una persona delle forze dell’ordine e che ci ha presentati. Don Ennio è una persona che mi ha dato molto sostegno, morale principalmente. Raccontando le mie vicissitudini in ogni incontro che avevamo lui mi disse: questa è una storia da raccontare. Io accettai di farlo con l’intento di dare un contributo al territorio e di far vedere ai nostri giovani che non bisogna arrendersi di fronte alla criminalità organizzata, ma persistere, essere testardi, mantenere la rotta della legalità e credere nei progetti che abbiamo, nella Calabria. Madre natura ci ha regalato delle bellezze che noi abbiamo il dovere di valorizzarle perché noi siamo stati davvero fortunati da questo punto di vista. Le nostre coste, le nostre spiagge, le nostre montagne sono sinonimo di ricchezza che noi, purtroppo, non riusciamo a sfruttare e valorizzare”.
-Cosa serve per uscire fuori da questo pantano?
“Credo sia arrivato il momento di effettuare quello scatto di reni che la classe dirigente, la politica, noi tutti, insieme, dobbiamo fare perché questo è l’ultimo carro o l’ultimo treno per valorizzare il nostro territorio. La politica e gli enti devono avere lungimiranza. Vibo Marina è bellissima, ha un porto incastonato nella parte urbana ma non possiamo pensare, ad esempio, di svilupparla con trenta camere d’albergo e venti di B&B. La politica deve pensare a mettere in campo uno strumento urbanistico che consenta di attrarre gli imprenditori e permettere loro di investire. Qui invece non si riesce a realizzare neanche un albergo perché non ci sono le condizioni e questi sono i motivi per cui non riusciremo mai a partire e a far decollare lo sviluppo del territorio”.