di Mario Meliadò – Ennesimo “passo falso” per quanto attiene alla vexata quaestio della fusione tra le Aziende ospedaliere catanzaresi “Pugliese Ciaccio” e “Mater Domini”, quest’ultima Policlinico universitario. Stavolta, a decretare un pesantissimo “stop” è stato direttamente il governo Conte: nel corso della seduta di ieri pomeriggio – in cui peraltro s’è molto parlato di Calabria… –, il Consiglio dei ministri ha infatti decretato l’impugnazione del merger tra le due Aziende.
LO “STOP”
LO “STOP”
Il Governo ha deciso d’impugnare la legge regionale numero 1 del 30 aprile scorso, che sancisce una serie d’«interventi di manutenzione normativa» in relazione all’articolo 9, quello che prevede la fusione tra le due Aziende ospedaliere catanzaresi, in quanto integrerebbe una «violazione del principio d’autonomia universitaria di cui all’articolo 33 della Costituzione», ma pure dell’articolo 4 del decreto legge 502 del 30 dicembre 2012, che per istituire un’Azienda ospedaliero-universitaria (come risulterebbe la nuova Azienda unitaria frutto della fusione) detta «un procedimento che termina nell’adozione di un provvedimento di competenza esclusiva dello Stato». In buona sostanza, ancòra una volta la Regione Calabria cade in un “conflitto d’attribuzione” di poteri. Da ultimo, la “madre di tutti i torti”, che ribadisce l’assoluta “espropriazione” pro-tempore della possibilità che la Regione adotti qualsivoglia provvedimento in materia di Sanità: la fusione «interferisce con le funzioni e con i compiti del Commissario» governativo per il Piano di rientro dal maxidebito in Sanità della Regione Calabria.
“TAVOLO” AL MIUR
Nella stessa nota diramata ai media al termine della sessione di ieri del Consiglio dei ministri, si puntualizza peraltro che, per «agevolare il più celere raggiungimento degli obiettivi del programma operativo per il rientro dal disavanzo sanitario della Regione», il Governo «s’è impegnato ad attivare un tavolo di confronto presso il Ministero dell’Università e della ricerca» prevedendo espressamente la «partecipazione della Regione Calabria e di tutti gli altri soggetti istituzionali coinvolti». Scopo ultimo, definire un «protocollo d’intesa» che vada a disciplinare l’«integrazione» fra le due Aziende ospedaliere, «che costituisce uno degli obiettivi principali della riqualificazione dell’offerta del Servizio sanitario non solo nella città di Catanzaro, ma nell’intero territorio regionale».
NODI & NOMI
Chissà come finirà. Anche di quel che ne verrà fuori – Commissario governativo permettendo… – potrebbe presto occuparsi Francesco Bevere, ex “numero 1” dell’Agenas ed ex dg Programmazione sanitaria del Ministero della Salute (in atto, direttore generale dell’Azienda sanitaria locale 2 di Chieti, in Abruzzo) che, per titoli e competenze specifiche, viene dato largamente in vantaggio fra i 45 aspiranti al ruolo di dirigente generale del Dipartimento regionale Tutela della salute, nove dei quali dirigenti regionali in carica, che hanno risposto al bando pubblicato sul Burc numero 63 del 21 giugno scorso in omaggio al decreto dirigenziale numero 6376 del 16 dello stesso mese.
Tra gli altri contendenti ci sono anche l’ex dg dell’Asp 5 di Reggio Calabria Giacomino Brancati e il dirigente di lungo corso all’Asp 8 di Vibo Valentia e alla Provincia vibonese Domenico Macrì entrambi fra i dirigenti regionali in carica ma pure Thomas Schael, già dg dell’Asp di Crotone e, fino all’anno scorso, vice di Saverio Cotticelli proprio all’Ufficio del Commissario.
ALTRA CALABRIA
Il Cdm di ieri, tuttavia, s’è occupato di Calabria anche per altre ragioni.
Per esempio, non è stato dello stesso segno l’esito del vaglio del Bilancio triennale 2020-2022, rispetto al quale s’è scelto di non procedere all’impugnazione.
Soprattutto, è arrivato in sede di Governo l’ennesimo “scappellotto” per la Regione a trazione-Santelli, benché – in questo caso specifico – per un frangente che affonda le sue radici nel passato. Proprio la Calabria è stata infatti “sul banco degli imputati” al momento del report di Francesco Boccia, ministro agli Affari regionali che proprio ieri ha relazionato al Governo sulla «ricognizione effettuata sulla legislazione regionale in materia d’elezione dei Consigli regionali» che ha svelato come «le leggi elettorali di talune Regioni non sono state adeguate» alle disposizioni della “legge Delrio” «volte a garantire l’equilibrio della rappresentanza tra donne e uomini nei Consigli regionali», non prevedendo dette leggi elettorali regionali «l’espressione della seconda preferenza» “di genere” «o non prevedono le quote di lista». Violazione per la quale il Consiglio regionale calabrese in carica rischia lo scioglimento.