Sit-in di Libera, i parenti delle vittime di ‘ndrangheta: “Vibo deve cambiare”

Presenti all'evento anche il testimone di giustizia Rocco Mangiardi e l’imprenditore Carmine Zappia. "Siamo tutti vittime di questa cultura di ‘ndrangheta"

Ad una settimana dal ferimento di un trentaduenne avvenuto ad opera di un ragazzo di 20 nei luoghi della movida di Vibo Valentia, l’associazione Libera ha indetto una manifestazione alla quale hanno preso parte esponenti della società civile e dell’associazionismo, amministratori, politici e tanti giovani. Tra questi anche il testimone di giustizia Rocco Mangiardi, l’imprenditore Carmine Zappia e i parenti delle vittime di ‘ndrangheta che hanno offerto le loro toccanti testimonianze emozionando il folto pubblico.

Tra questi il padre di Filippo Ceravolo, giovane di Soriano Calabro ucciso per errore in un agguato di ‘ndrangheta tra il clan Loielo e quello degli Emanuele il 25 ottobre 2012 sulla strada che conduce a Pizzoni. “Filippo aveva solo 19 anni, era conosciuto da tutti qua a Vibo – le sue parole – Prima o poi questi soggetti andranno in tribunale o al cimitero perché stanno rovinando una provincia intera. Mi hanno distrutto una famiglia: mia figlia ha 17 anni e dorme con la luce accesa per il terribile ricordo di quella sera. Il sacrificio di Filippo deve servire a qualcosa, pertanto mi appello a tutte le istituzioni affinché provvedano a ripristinare la serenità collettiva. Non si può vivere più così, Vibo deve cambiare: le piazze sono nostre, non di quei soggetti”.

Tra questi il padre di Filippo Ceravolo, giovane di Soriano Calabro ucciso per errore in un agguato di ‘ndrangheta tra il clan Loielo e quello degli Emanuele il 25 ottobre 2012 sulla strada che conduce a Pizzoni. “Filippo aveva solo 19 anni, era conosciuto da tutti qua a Vibo – le sue parole – Prima o poi questi soggetti andranno in tribunale o al cimitero perché stanno rovinando una provincia intera. Mi hanno distrutto una famiglia: mia figlia ha 17 anni e dorme con la luce accesa per il terribile ricordo di quella sera. Il sacrificio di Filippo deve servire a qualcosa, pertanto mi appello a tutte le istituzioni affinché provvedano a ripristinare la serenità collettiva. Non si può vivere più così, Vibo deve cambiare: le piazze sono nostre, non di quei soggetti”.

“L’omertà non serve a nulla”

Straziante il contributo della mamma di Francesco Vangeli, 26enne di Scaliti di Filandari ferito e gettato in un fiume ancora vivo. “Non so nulla da tre anni, il suo corpo è scomparso nel nulla. Francesco si è messo con una ragazza sbagliata e ne ha pagato le conseguenze. Perdere un figlio di 26 anni non è facile, accettarlo nemmeno perché ti cambia la vita. Sabato scorso mi sono sentita male perché ho tre figli ancora in giro e mi vengono i brividi a pensare che possano succedere queste cose. Il nostro è un bellissimo territorio, però c’è una subcultura che non va e quindi dobbiamo essere noi genitori i primi a cercare di cambiare questa situazione. Con la paura non si fa nulla e l’omertà non serve, senza quest’ultima a quest’ora anch’io avrei potuto avere un corpo su cui piangere”.

“Tutti siamo vittime di questo sistema”

Presente alla manifestazione anche il fratello di Maria Chindamo, l’imprenditrice calabrese rapita e fatta sparire nel 2016 davanti alla sua tenuta agricola di località “Montalto” di Limbadi: “I fatti vili e criminali come quelli accaduti ultimamente a Vibo non fermeranno l’ondata del cambiamento e questa piazza oggi ne è la testimonianza. I tribunali stanno lavorando in modo spedito per assicurare i criminali alla giustizia, la gente ormai ha aperto gli occhi. Purtroppo io sono qui a parlare da vittima perché ho subito la perdita di una sorella e sono stato condannato all’ergastolo del dolore, come tante altre persone in questo territorio. Siamo tutti vittime di questo sistema, di un ambiente criminale e di una cultura di ‘ndrangheta. Ma prima o poi questo territorio sarà liberato e rinascerà, ormai la strada è fatta”.

La toccante testimonianza di Marzia

Struggente la testimonianza di Marzia, la mamma di Francesco Prestia Lamberti ucciso a 15 anni dal figlio minorenne del boss a Mileto: “Questo figlio del boss camminava da mesi armato ma nessuno ha denunciato, ha picchiato altri ragazzi e ad uno di questi ha spaccato la testa. Non possiamo girare la testa dall’altro lato, la morte è toccata a Francesco ma poteva capitare a chiunque. Un sacco di persone a Mileto sanno cosa è stato fatto a mio figlio ma nessuno ha mai parlato, neanche in forma anonima. Sono passati quattro anni e cinque mesi dall’uccisione e ancora non so neanche il punto esatto in cui è stato ucciso. Francesco era uscito per mangiarsi un panino con i suoi amici e alle otto e mezzo era già morto, questo perché si trattava di un omicidio premeditato”.

Marzia emoziona tutti con il racconto della sua quotidianità segnata dal dolore: “Non potete immaginare cosa sia la vita dopo un evento del genere: non si vive più, non si dorme, non si sa di chi ci si può fidare. I criminali devono essere giudicati dall’atto che compiono e non dalla loro età: dal fascicolo leggo che l’assassino di mio figlio in carcere gioca con la Playstation, mentre Francesco è morto a 15 anni. Al processo l’assassino di mio figlio era a due passi da me e si comportava in maniera arrogante. Mettetevi tutti nei nostri panni perché è toccato a noi ma domani potrebbe toccare a un vostro fratello. In casa ho altri due figli ma ormai si sorride solo con le labbra e non con il cuore. Quel posto vuoto di Francesco non si può descrivere”. (an.bat.)

Libera risuona la carica: in centinaia al sit-in a Vibo per dire no alla ‘ndrangheta (FOTO-VIDEO)

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