di Gabriella Passariello- Si chiude con una condanna il primo capitolo giudiziario per l’uomo accusato di maltrattamenti nei confronti della moglie, del figlio minorenne, di aver violentato la propria consorte e di lesioni personali. Il giudice del Tribunale collegiale di Catanzaro, presieduta da Carmela Tedesco ha inflitto a E. S., 65 anni del capoluogo di regione, difeso dall’avvocato Antonio Ludovico, la pena di quattro anni di reclusione, accogliendo la richiesta di condanna avanzata dagli avvocati delle parti civili, i legali Sonia Mirarchi e Mariateresa Musacchio. Una storia di soprusi, di maltrattamenti, di prevaricazioni, consumatisi tra le mure domestiche e che hanno coinvolto B. W. e suo figlio di appena 7 anni. Una vicenda drammatica, iniziata prima con gli insulti, poi con le minacce di morte, infine con le aggressioni violente, e durata dal 2011 al 2018.
“Mi sono pentito di averti sposata”
“Mi sono pentito di averti sposata”
“Sei una stupida, mi sono pentito di aver sposato una polacca, non sai parlare. Ti ammazzo”. La donna sarebbe stata colpita dal marito con una serie di pugni in testa, spinta con forza contro il frigorifero e contro il muro di casa. Vessata da chi avrebbe dovuto amarla, da suo marito, dal padre di suo figlio: afferrata dal collo, costringendola ad inginocchiarsi per poi sbatterle con forza la fronte contro il pomello del forno. E non contento l’avrebbe presa dal colletto della maglietta per spingerla sullo schienale della sedia, provocandole lesioni personali. Costretta anche a compiere atti sessuali, immobilizzandola con il suo corpo mentre era distesa nel letto per impedirle qualsiasi via di fuga.
“Sei un monello stupido, ti ammazzo di botte”
Avrebbe reso la vita impossibile a moglie e figlio, nei confronti di questo ultimo avrebbe ripetuto un copione simile, quello degli insulti, delle prevaricazioni, delle minacce, delle botte. “Sei un monello, non sai giocare a pallone, sei stupido, ti ammazzo di botte, te la farò pagare, non ti voglio bene”. Un bimbo di soli sette anni colpito prima con uno schiaffo, poi con un calcio, infilandogli con forza il cibo in bocca per costringerlo ad ingoiarlo.