Le vittime delle Fosse Ardeatine, i cinque calabresi colpiti alla nuca 80 anni fa

L'uccisione di 335 civili e militari italiani a Roma, perpetrata dalle truppe tedesche, fu una rappresaglia per l'attentato partigiano di via Rasella

di Bruno Gemelli Si pensava che la vicenda drammatica delle Fosse Ardeatine, accaduta 80 anni fa (il 24 marzo 1944), fosse stata tutta sviscerata e declinata nelle sue varie sfaccettature. Invece no. Proprio in questi giorni sono usciti due saggi che, sulla base di nuove ricerche e approfondimenti, aggiungono, se è possibile, profili angoscianti della storia, specie negli aspetti umani delle singole vittime che furono 335 di cui 5 calabresi come vedremo più avanti. L’uccisione di 335 civili e militari italiani a Roma, da parte dalle truppe di occupazione tedesche, fu una rappresaglia per l’attentato partigiano di via Rasella.

Il primo saggio sull’argomento è “Le vite spezzate delle Fosse Ardeatine. Le storie delle 335 vittime dell’eccidio simbolo della Resistenza”, di Mario Avagliano e Marco Palmieri (Einaudi, 2024). Il secondo saggio è “Controversie per un massacro. Via Rasella e le Fosse ardeatine. Una tragedia italiana”, di Dino Messina (Solferino, 2024). Messina è un decano giornalista del Corriere della Sera. Per lo storico Eugenio Di Rienzo, “il libro si raccomanda per la compiutezza dell’informazione, per la capacità di distinguere la verità storica dalla verità giudiziaria, per l’onestà intellettuale che dovrebbe essere, come spesso disgraziatamente non accade, la prima virtù dell’analista del passato”. Ma il saggio che per primo ha raccontato la storia delle Fosse Ardeatine è quello del giornalista americano di Robert Katz, “Morte a Roma – Il massacro delle fosse Ardeatine” (edizioni Net, 2004).

Il primo saggio sull’argomento è “Le vite spezzate delle Fosse Ardeatine. Le storie delle 335 vittime dell’eccidio simbolo della Resistenza”, di Mario Avagliano e Marco Palmieri (Einaudi, 2024). Il secondo saggio è “Controversie per un massacro. Via Rasella e le Fosse ardeatine. Una tragedia italiana”, di Dino Messina (Solferino, 2024). Messina è un decano giornalista del Corriere della Sera. Per lo storico Eugenio Di Rienzo, “il libro si raccomanda per la compiutezza dell’informazione, per la capacità di distinguere la verità storica dalla verità giudiziaria, per l’onestà intellettuale che dovrebbe essere, come spesso disgraziatamente non accade, la prima virtù dell’analista del passato”. Ma il saggio che per primo ha raccontato la storia delle Fosse Ardeatine è quello del giornalista americano di Robert Katz, “Morte a Roma – Il massacro delle fosse Ardeatine” (edizioni Net, 2004).

Le vittime calabresi delle Fosse Ardeatine

Come detto, tra le 335 vittime che ricevettero un colpo alla nuca ci furono cinque calabresi. Questi i loro nomi: Giuseppe Lopresti di Palmi, Donato Bendicenti di Rogliano, Giovanni Vercillo di Catanzaro, Paolo Frascà di Gerace, di Francesco Bucciano di Castrovillari. A questi se ne aggiunge un sesto, don Pietro Pappagallo. Non era calabrese ma frequentò Catanzaro in quanto nel 1924 fu vice rettore del Seminario regionale San Pio X del capoluogo. Nell’elenco delle 335 vittime delle Ardeatine la Gestapo gli assegnò la 114ma posizione anche se nell’elenco alfabetico compare al 230° posto.

Don Pietro aveva 56 anni. Era un prete, l’unico prete tra militari, carabinieri, partigiani, ebrei, politici, professionisti, impiegati, commercianti, bottegai, operai trucidati tra sventagliate di mitra e colpi alla nuca. La figura di Don Pietro divenne famosa perché ispirò al regista Roberto Rossellini nel film “Roma città aperta” (1945), capolavoro e pietra miliare del neorealismo, la figura del sacerdote, interpretato da Aldo Fabrizi. In realtà il regista disse in seguito di aver pensato sia a don Pietro Pappagallo, come antifascista e amico dei lavoratori, e sia, nel finale, a un altro sacerdote, Don Giuseppe Morosini fucilato a Forte Boccea.

La settima vittima calabrese, colpita alle spalle

In quei giorni a Roma ci fu una settima vittima calabrese, sparata alle spalle. Il 3 marzo di quell’anno fu uccisa Teresa Gullace in Talotta, nata a Cittanova l’8 settembre 1907, freddata da un colpo di pistola mentre tentava di parlare al marito prigioniero dei tedeschi. La sua morte ebbe una notevole eco nella città e la sua figura divenne ben presto un simbolo della resistenza romana. La sua vicenda venne inoltre ripresa e resa celebre dal regista Roberto Rossellini, che prenderà spunto dalla Gullace per il personaggio della Sora Pina, interpretata da Anna Magnani nel film “Roma città aperta”.

Teresa Gullace, trasferita da giovane nella Capitale, all’epoca dei fatti aveva 37 anni, cinque figli ed era incinta del sesto. Suo marito, Girolamo Gullace, venne arrestato dai nazisti il 26 febbraio 1944 nel corso di un rastrellamento e portato nella caserma dell’81° di fanteria in Viale Giulio Cesare; qui la donna lo andò a trovare, insieme alle mogli di altri prigionieri, la mattina del 3 marzo. Secondo le testimonianze rilasciate, fra gli altri, dalla partigiana Laura Lombardo Radice, dopo aver scorto il marito alla finestra Teresa tentò di avvicinarsi a lui, forse per consegnargli del pane o solo per parlargli, incurante del divieto urlatole da un soldato tedesco che, vedendola avvicinarsi alla caserma, le sparò un colpo con la sua Luger, uccidendola.

Il rilascio di Girolamo Gullace

Lo sdegno e la rabbia popolare che immediatamente seguirono la sua morte convinsero i tedeschi a rilasciare Girolamo Gullace; nei giorni e nelle settimane seguenti (segnati, fra l’altro, dalla strage delle Fosse Ardeatine), la tragica storia divenne una delle icone della resistenza, e numerosi gruppi partigiani cittadini, dai Gruppi di azione patriottica allo stesso Comitato di Liberazione Nazionale, resero la sfortunata donna uno dei simboli della loro lotta. Dei calabresi presenti a Roma a salvarsi fu solo Giuseppe Albano di Gerace, detto “Il gobbo del Quarticciolo”, perché, rinchiuso dalla Gestapo in via Tasso, adibito a luogo di tortura, si salvò perché faceva l’aiuto barbiere, mestiere imparato da giovanissimo a Locri. Morirà qualche tempo dopo in circostanze misteriose quando Roma era stata liberata.

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