Con le elezioni tutti si preoccupano della sanità, ma dietro gli slogan il nulla

Si chiede di azzerare il debito ma non si sa neanche a quanto ammonti. E oltre la retorica restano solo i drammi per i calabresi
"La Calabria - scrivono - è l’unica regione in cui non sono stati concessi ristori Covid alle strutture territoriali della sanità convenzionata"

di Sergio Pelaia – Tutti si riempiono la bocca di sanità, in pochi sanno davvero di cosa si parla e nessuno è in grado di dire, concretamente e senza facili slogan, come uscirne. Mai come in questa campagna elettorale la salute dei calabresi è diventata materia di propaganda. Dopo 11 anni di commissariamento – le uniche regioni in cui il settore è governato dai commissari inviati da Roma sono rimaste la Calabria e il Molise – è ormai chiaro che la nomina di “superpoliziotti” alla guida della struttura commissariale non ha risolto i problemi, anzi. L’ultima riunione del “Tavolo Adduce”, ovvero l’organismo interministeriale che monitora i dati del Piano di rientro, ha riservato nuove lacrime e nuovo sangue. Ma non servono i freddi calcoli dei burocrati romani per capire quale sia la situazione, basta andare sui territori dove ai tagli orizzontali non è seguito alcun potenziamento della medicina di prossimità.

Tutti parlano del debito ma nessuno sa a quanto ammonta

Tutti parlano del debito ma nessuno sa a quanto ammonta

Tanti problemi sono stati resi ancora più drammatici dal Covid, ma già prima la situazione era tutt’altro che rosea. Oggi ci si ritrova con 91 milioni di euro di disavanzo, con i Livelli essenziali di assistenza crollati sotto le soglie minime, con circa 300 milioni all’anno pagati alle altre Regioni per i viaggi della speranza, con i buchi delle Asp di Reggio e Cosenza che nessuno riesce a misurare, con i nuovi ospedali mai realizzati e con intere porzioni di popolazione private dei servizi essenziali. In una simile situazione la politica calabrese sta dimostrando tutta la sua pochezza: tutti dicono che bisogna uscire dal commissariamento – e probabilmente sarà così, o quantomeno il commissario sarà di nuovo il presidente della Regione come fu all’epoca di Peppe Scopelliti – ma nessuno sa indicare una via concreta per uscire da un tunnel che sembra infinito. Tutti, poi, parlano del debito pregresso ma ancora non si riesce a quantificarlo.

Oltre gli slogan il nulla

Roberto Occhiuto ripete che bisogna dire basta a prefetti e generali nominati commissari ma invoca l’intervento “della Ragioneria dello Stato e dei reparti della Guardia di finanza per ricostruire i bilanci delle Asp”. Amalia Bruni sostiene di avere dalla sua la competenza perché è un medico e “dopo aver curato migliaia di famiglie” ora vuole “prendersi cura dei calabresi”, ma il Giuseppe Conte venuto a sostenerla è lo stesso che con il “decreto Calabria” addirittura potenziò il commissariamento senza mettere un euro per assunzioni e debiti. Mario Oliverio ne fa una questione di lotta alla “deriva coloniale” ma quando è stato governatore, a parte la minaccia di paglia delle catene a Palazzo Chigi, non ha avuto la forza politica di dare una sferzata al trend commissariale. Luigi de Magistris si limita a rispolverare un video di 11 anni fa per attaccare Occhiuto ma non va oltre gli slogan ribellisti e le frasi ad effetto.

La propaganda e i drammi

Questa è la situazione, al netto della propaganda e del continuo proliferare di rapporti incestuosi tra politica e sanità privata. Chi fa forza sui buoni agganci romani per ammantarsi di autorevolezza nella trattativa con il governo e chi prova a proporsi come simbolo del riscatto e della provvidenza. Resta la condizione dei calabresi in tutta la sua drammaticità, inesorabile come la retorica elettorale dei politici calabresi e come la tendenza dei governi di ogni colore a trattare la Calabria come un’appendice ormai irrecuperabile.

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