Un nome triste, un luogo lugubre, una massiccia costruzione con il portone di ferro e un terrapieno alto 15 metri. È Forte Bravetta, sulla via Aurelia, una delle quindici fortezze di tipo prussiano poste a difesa di Roma capitale al tempo della presa di Porta Pia.
Il 9 settembre 2009 Forte Bravetta, che era appartenuto per più di 60 anni all’amministrazione militare e poi al Demanio, è passato tra le proprietà del Comune di Roma ed è stato aperto al pubblico, diventando il “Parco dei martiri”. In occasione della sua inaugurazione fu piantato un ulivo, proveniente direttamente da Gerusalemme, dono del KKL – Fondo Nazionale Ebraico. È la storia di questo triste edificio che ospitò le fucilazioni dei nazifascisti eseguite a Roma dal 1932 al 1945.
Ettore Arena e Serafino Aldo Barbaro
A Forte Bravetta ci furono 68 martiri tra militari e partigiani, tutti appartenenti alla Resistenza romana. Tra questi il catanzarese Ettore Arena (Catanzaro, 17 gennaio 1923 – Roma, 2 febbraio 1944) che fu militare e partigiano al tempo stesso. Egli, in servizio come allievo elettricista nella Marina militare, si trovava a Venezia al momento dell’armistizio di Cassibile. Sfuggito alla cattura da parte dei tedeschi, riuscì fortunosamente a giungere a Roma, dove risiedevano i suoi familiari. Nella capitale, prese parte alla resistenza armata militando, sin dall’ottobre 1943, nelle file del movimento Bandiera Rossa. Nel dicembre dello stesso anno, Arena fu arrestato con altri membri della sua formazione e un mese dopo fu processato da un tribunale di guerra tedesco. Condannato a morte con altri coimputati, il giovane fu fucilato con loro a Forte Bravetta. Condotto davanti al plotone di esecuzione, lo affrontò con animo e contegno di fiero soldato, strappandosi la benda dagli occhi cadendo in fine col nome dell’Italia sulle labbra. Fu insignito di medaglia d’oro al valore militare. A quei tempi un altro catanzarese morì con le stesse modalità ricevendo, anch’egli, la medaglia la medaglia d’oro al Valor militare alla memoria. È Serafino Aldo Barbaro (Catanzaro, 2 gennaio 1922 – Coassolo Torinese, 21 aprile 1944), ucciso dai nazifascisti quando aveva soltanto 22 anni. Arena e Barbaro sono stati eroi dimenticati dai contemporanei, se non fosse per le vie che gli hanno intitolato il Comune di Catanzaro e quello di Torino.
Le fucilazioni di Forte Bravetta
Le modalità delle fucilazioni nel Forte Bravetta durante l’occupazione nazifascista seguivano un rigido rituale. Il condannato era fatto sedere su una sedia con lo schienale davanti, le spalle rivolte ai carnefici, le mani legate per i polsi con un lacciolo. Dopo la scarica di fucileria l’ufficiale medico, obbligatoriamente tedesco, constatava se era avvenuta o no la morte. In ogni caso dava il colpo di grazia alla nuca con la pistola. Infine subentrava un sacerdote a benedire la salma. Tutto si svolgeva in pochi minuti, quasi sempre alle prime luci del giorno. I cadaveri erano subito dopo trasportati al Verano privi di segni di identificazione per ordine perentorio del comando germanico. Si deve ad un gruppo di inumatori se, sfidando la polizia collaborazionista e la Gestapo, fu possibile, avvenuta la liberazione di Roma, trarre i resti dalle fosse comuni ridando loro identità e pietosa sepoltura.