Il #Clandestino scuote il Paese: Interviste a politici “affiliati”, mafiosi “cervelloni” e boss che si cambiano i connotati

Danilo Colacino – Se quanto detto nello speciale #Clandestino-Mafie italiane trovasse piena rispondenza nelle risultanze investigative e processuali, significherebbe che i gangli della società dalle Alpi all’estrema Punta dello Stivale non solo sono permeati ma addirittura sarebbero eterodiretti dagli appartenenti a una sorta di Santa Alleanza in atto fra Cosa nostra e ‘Ndrangheta (un ‘supercartello’ da cui sarebbe invece esclusa la Camorra, definita da uno ‘ndranghetista ‘ostentosa’ ovvero troppo appariscente, e quindi non troppo affidabile, sullo stile della serie Gomorra).

Esisterebbero quindi membri simili ai componenti di una setta, quasi asceti insomma, i quali rivelano – anche a migliaia di chilometri di distanza da Sicilia e Calabria – possiamo contare su insospettabili politici ‘affiliati’ o collusi da 30 anni e fervide menti ‘allenatesi’ negli Atenei di Boston. Ma sono in particolare i capibastone delle ‘ndrine, in forte espansione a fronte di una graduale ripresa delle cosche sicule indebolite dalla guerra allo Stato condotta dai corleonesi di Totò Riina con la successiva massiccia opera di repressione subita, ad avere in mano le leve del potere. ‘Bottoni’ che sarebbero spinti in stanze ubicate a Milano, non in Aspromonte.

E lo rivela un tal Bosco, nome in codice come ovvio, che in una campagna lombarda – dopo la registrazione di un rito d’iniziazione alla sua consorteria malavitosa – invita in un casolare abbandonato, per raccontargli fatti inquietanti, un altro uomo che conduce un’esistenza molto particolare. Si tratta di David Beriain, le cui origini sono ignote, probabilmente per ragioni di sicurezza, sua e dei congiunti. Già, perché è uno che non appena laureatosi ha deciso di fare il giornalista. Ma non il redattore o il semplice inviato. Nossignore: il reporter, forse più a rischio di quelli di guerra. Un cronista, definiamolo così, che si fa puntare la pistola alla tempia dai Signori della Droga e dai boss latitanti delle più pericolose ed efferate mafie del pianeta.

Clan in grado di contare su un soggetto che dice, coperto e camuffato dalla testa ai piedi, “ho una storia politica ultraventennale al servizio dei grandi criminali. Ci scambiamo favori reciproci e se un giorno qualcuno mi smascherasse, sarei inquadrabile nella figura del classico ‘colletto bianco’. Io, dunque, lavoro per loro, i capi-clan, che ‘estorcono’ o comprano i voti per me talvolta con buoni benzina o persino ticket del supermercato. A me, invece, tocca sempre fare quanto mi chiedono”. Ma fra gli intervistati ci sono una serie di latitanti come uno che candidamente confessa: “Ho fatto saltare in aria mio fratello e mio cognato, volevano fottermi e io ho fottuto loro. Sono un mafioso di settima generazione, però lo sono a tutti gli effetti per aver superato delle specifiche prove. Quali? Uccidere una capra, poi un cane e così via a mano a mano. Non pensate, comunque, che l’unico elemento (scriminante, ndr) siano i fatti di sangue. Noi abbiamo figli e nipoti nelle migliori Università del mondo. A Boston, ad esempio”.

Comunque sia, la filosofia del momento è non fare “sgrusciu” per dirla con il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri. Pochi omicidi, ma anche intimidazioni non eclatanti, da parte di chi ha imparato a confondersi tra la gente come quel Mammasantissima che ha letteralmente comprato l’identità di un altro individuo. Una persona, incensurata, pagata fior di quattrini per mantenere il silenzio e di cui attraverso interventi di microchirurgia estetica se ne sono quasi assunte le identiche sembianze. Un piano che si avvicina a quello al centro del thriller fantascientifico Face/Off, un capolavoro hollywoodiano in cui il poliziotto ‘buono’ John Travolta viene sostituito nella finzione scenica dal ‘terrorista psicopatico’ Nicolas Cage.

Non mancano, di contro, nelle due puntate trasmesse dal Nove ieri sera i commercianti testimoni di mafia, “morti sociali”, e la prima pentita di ‘ndrangheta del Nord. Una giovane donna figlia di un “capo” che la violentava fin da bambina e poi sposa di un altro mafioso capace solo di riempirla di botte e ridurla a una condizione di segregazione. Ma parla pure Davide Gentili, presidente del comitato Antimafia di Milano, che spiega: “In questa città il solo nominare la criminalità organizzata, in passato spaventava gli investitori stranieri e dunque si faceva finta di niente. A un certo punto, però, non abbiamo più potuto ignorare l’opacità di certe aziende (ditte e imprenditori i quali con i proventi a tanti zeri degli stupefacenti drogavano pure il libero mercato, acquistando tutto e tutti, ndr).

Spazio inoltre al sicario prelevato e allevato in orfanotrofio al quale, come a una sorta di 007 del male, viene data Licenza di Uccidere. Un mandato che lo spinge a mentire alla moglie, a cui compra un regalo, giustificando un falso ‘straordinario’. Un lavoro che consiste in realtà nello sparare in testa a uno o nel seviziarlo, se tale è la consegna, prima di eliminarlo. È il caso di un pedofilo, sodomizzato con un palo. ‘Commissione’ sbrigata gratuitamente, senza rimorsi al pari invece di qualcun’altra che risveglierebbe la coscienza dello spietato killer. Asserzione a cui si stenta francamente a credere.

È poi la volta dell’inafferrabile, il boss dai connotati cambiati che in passamontagna nero avvisa subito David: “Viola le mie regole e sei spacciato. Tanto, se vado in galera, buttano le chiavi. Ragion per cui, me la gioco così. Vivo nascosto, ma comando tutto. I direttori delle banche svizzere sono i miei broker. E prima di andar via ti svelo un’ultima cosa: nella ‘ndrangheta solo il morto non parla”.

Ma la chiusura non può che essere dove c’è la cosiddetta Mamma: la Calabria e il reggino in particolare. È qui, infatti, che Beriain arriva in pieno giorno, spostandosi da Scilla a Villa San Giovanni e facendo salire in macchina un boss il quale svolge insieme a lui un’attività di narcotraffico. Un’operazione congiunta con Cosa Nostra, condotta fino al limite della configurazione del reato di favoreggiamento a carico del reporter, a chiusura di un ‘cerchio perfetto’ descritto in apertura del nostro pezzo. Il trasporto di cocaina, a cura dei fornitori calabresi agli acquirenti siciliani, è effettuato servendosi di un traghetto di linea che attraversa lo Stretto. Solo che a bordo della nave, fra turisti e passeggeri abituali, ci sono pure i ‘commercianti’ della ‘ndrangheta muniti di una mercanzia consistente in cinque chili di coca, stipata in un’auto al seguito di quella guidata dal giornalista. Mezzo su cui viaggia il giovane capo entrato in ‘famiglia’ a 16 anni con un omicidio-esame compiuto per dimostrare al padre, reso orgoglioso dal rampollo, di essere pronto in caso di necessità a prendere le redini del clan come poi sarà.

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