di Giovanni Bevacqua – Se il virus uccide la fame non è da meno. È un messaggio chiaro e inequivocabile quello lanciato proprio in questi attimi da imprenditori, artigiani, lavoratori di ogni settore e rappresentanti dei più svariati settori del tessuto socio-economico locale. Chiedono salute sì, ma anche giustizia sociale, sicurezza e lavoro. Perché, dicono, ci si sta impegnando tanto a contenere questa pandemia – che è sacrosanto! – ma nella maniera sbagliata. Non si sta considerando a come si possa arrivare a fine mese tra coprifuoco, limitazioni e imposizioni di ogni genere senza sostegno e garanzie da parte dello Stato. Che, tra l’altro, nei mesi di maggiore flessione di contagio, non ha messo in campo azioni concrete per affrontare in maniera ottimale questa, prevista, seconda ondata.
Saracinesche giù ma conti da pagare
Saracinesche giù ma conti da pagare
Sono un centinaio, dicevamo, e stanno protestando nel centro storico di Catanzaro. Al cuore delle contestazioni l’ultimo decreto del presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte, aspettando, tra l’altro, quello delle prossime ore. Perché se Netflix ci ha affezionato alla serialità, questo Governo non è stato da meno. E così dall’attesissimo bollettino delle ore 18 che incollava milioni di italiani davanti allo schermo nel primo lockdown, oggi si vive aspettando le nuove e più stringenti restrizioni annunciate dalla viva voce del premier. Il tutto mentre le banche continuano a scalare regolarmente mutui e finanziamenti, i fornitori dei servizi primari a inviare le bollette e i locatari a riscuotere gli affitti. Come se nulla fosse. Come se non ci fosse una pandemia in corso e il Governo non avesse obbligato a calare le saracinesche. Come se la gente non fosse spaventata e le aziende non fossero già in crisi per il naturale calo dei consumi che la pandemia comporta. Eppure i supermercati restano aperti e, una volta giunti alle casse, c’è il conto da pagare.
Il Governo e le sue responsabilità
Perché il fine, di chi in questo momento sta facendo sentire la propria voce contro le misure imposte a livello nazionale, non è quello di mettere in dubbio l’esistenza e la pericolosità del virus – è un gioco che si preferisce lasciare ai negazionisti – ma trovare soluzioni comuni per la salvaguardia del Paese sul piano sanitario ed economico. E la soluzione non è di certo quella di negare negare la propria assistenza a un bambino di 11 mesi solo perché esiste la remota possibilità che sia affetto da Coronavirus. E non può essere nemmeno quella di chiudere tutto lasciando il conto agli italiani. Il Governo deve assumersi le proprie responsabilità così come ha chiesto e chiede responsabilità agli italiani. E lo deve fare in tempi certi.
È facile affrontare un lockdown quando si ha uno stipendio che, in ogni caso, arriva puntuale sul proprio conto. Ma evidentemente chi vive con 15mila euro al mese dimentica che in Italia non sono tutti dipendenti pubblici. E che se la mattina non si va al lavoro non c’è nessuno a fine mese che versa lo stipendio sul conto.
Chi oggi alza la propria voce, sempre in maniera pacifica, contro questo Governo e le azioni messe in campo per affrontare la pandemia, lo fa assumendosi le proprie responsabilità. Sperando che chi siede più in alto faccia lo stesso. Altrimenti inevitabile che si morirà. Di virus sì. Ma non per il virus.