Si è aperto stamattina al Tribunale di Torino il processo che vede imputate 11 persone, fra cui l’ex assessore regionale di Fratelli d’Italia Roberto Rosso, accusate, a vario titolo, di associazione per delinquere di stampo mafioso e scambio elettorale politico-mafioso.
Il processo fa seguito all’operazione “Fenice” condotta dalla Guardia di finanza di Torino, che lo scorso 20 dicembre ha portato a 8 arresti e 200 milioni di euro di beni sequestrati in Piemonte, Lombardia, Toscana, Lazio, Campania, Sicilia e Sardegna. Tra gli arrestati anche Onofrio Garcea e Francesco Viterbo, figure di spicco della ‘ndrangheta radicata a Carmagnola (vicini alla famiglia Bonavota) e attiva nell’area meridionale di Torino, che dopo l’operazione “Carminius” del marzo 2019 stavano riorganizzando il sodalizio criminale, stringendo rapporti con il noto imprenditore torinese Mario Burló. Quest’ultimo è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, in quanto con il sostegno della cosca avrebbe organizzato uno strutturato sistema di evasione fiscale attraverso la creazione di piú società, riconducibili ad altre persone, tramite cui compiere compensazioni Iva tali da ottenere profitti consistenti. Un sistema che ha consentito di accumulare indebite compensazioni per oltre 16 milioni di euro, denaro che Burló avrebbe utilizzato per acquistare diversi immobili. Secondo la ricostruzione dei magistrati torinesi, in occasione delle elezioni politiche regionali del maggio 2019, Garcea e Viterbo avrebbero stretto un “patto di scambio” con il candidato di Fratelli d’Italia, Roberto Rosso, che con la mediazione di Enza Colavito e Carlo De Bellis avrebbe versato denaro in cambio di un pacchetto di voti. Durante l’udienza preliminare di stamattina hanno chiesto di costituirsi parte civile l’associazione Libera Piemonte la Regione Piemonte, il Comune di Carmagnola e, unicamente per Roberto Rosso, Fratelli d’Italia.
Il processo fa seguito all’operazione “Fenice” condotta dalla Guardia di finanza di Torino, che lo scorso 20 dicembre ha portato a 8 arresti e 200 milioni di euro di beni sequestrati in Piemonte, Lombardia, Toscana, Lazio, Campania, Sicilia e Sardegna. Tra gli arrestati anche Onofrio Garcea e Francesco Viterbo, figure di spicco della ‘ndrangheta radicata a Carmagnola (vicini alla famiglia Bonavota) e attiva nell’area meridionale di Torino, che dopo l’operazione “Carminius” del marzo 2019 stavano riorganizzando il sodalizio criminale, stringendo rapporti con il noto imprenditore torinese Mario Burló. Quest’ultimo è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, in quanto con il sostegno della cosca avrebbe organizzato uno strutturato sistema di evasione fiscale attraverso la creazione di piú società, riconducibili ad altre persone, tramite cui compiere compensazioni Iva tali da ottenere profitti consistenti. Un sistema che ha consentito di accumulare indebite compensazioni per oltre 16 milioni di euro, denaro che Burló avrebbe utilizzato per acquistare diversi immobili. Secondo la ricostruzione dei magistrati torinesi, in occasione delle elezioni politiche regionali del maggio 2019, Garcea e Viterbo avrebbero stretto un “patto di scambio” con il candidato di Fratelli d’Italia, Roberto Rosso, che con la mediazione di Enza Colavito e Carlo De Bellis avrebbe versato denaro in cambio di un pacchetto di voti. Durante l’udienza preliminare di stamattina hanno chiesto di costituirsi parte civile l’associazione Libera Piemonte la Regione Piemonte, il Comune di Carmagnola e, unicamente per Roberto Rosso, Fratelli d’Italia.
‘Ndrangheta: legale Rosso, FdI sconfessa politica garantista
“La scelta di Fratelli d’Italia di costituirsi parte civile contro Roberto Rosso significa sconfessare totalmente 25 anni di politica in cui il partito, a fianco di Forza Italia, si è battuto per una sorta di garantismo”. Cosí l’avvocato Giorgio Piazzese, legale difensore di Roberto Rosso, l’ex assessore della Regione Piemonte imputato a Torino con l’accusa di scambio elettorale politico-mafioso. “Oggi Fratelli d’Italia – aggiunge l’avvocato – adotta invece una politica di tipo giustizialista nei confronti di una persona che in quarant’anni non ha mai riportato una condanna, una mossa squisitamente politica”. Sulle condizioni del proprio assistito Piazzese aggiunge: “È una persona provata da cinque mesi di detenzione, senza possibilità di incontrare i familiari, ma con la consapevolezza di essere totalmente estranea ai fatti contestati”.
Redazione Calabria 7