Decisive le dichiarazioni dell’ex collaboratore di giustizia Vincenzo Marino nel processo sull’omicidio della 18enne Pamela Mastropietro, che hanno consentito di incastrare Oseghale, il pusher nigeriano accusato di aver violentato, fatto a pezzi e occultato il corpo della ragazza. Limputato è stato condannato dalla Corte di assise di Matacera alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno per 18 mesi. Marino ha dichiarato che Oseghale gli avrebbe confessato lo stupro e l’omicidio di Pamela mentre era nel carcere di Ascoli. Secondo la difesa, però, l’ex collaboratore sarebbe inattendibile e avrebbe parlato solo per ottenere la riammissione al programma di protezione. Una tesi smentita con forza dal legale di Marino, Maria Claudia Conidi, avvocato penalista del Foro di Catanzaro che ha spiegato ai microfoni di Calabria7 il paradosso che sta vivendo il suo assistito, definendolo “un collaboratore di fatto, che continua a far luce con le sue dichiarazioni su diverse indagini e in diversi processi pur non usufruendo del programma di protezione” e si appella alla Dda di Catanzaro nella persona del procuratore capo Nicola Gratteri, perché vengano riattivate le misure per la sicurezza di Marino, “la cui unica preoccupazione- ha detto l’avvocato- è quella di tutelare sua moglie e i suoi figli”.