di Gabriella Passariello- Ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado il pm della distrettuale Paolo Sirelo, in veste di sostituto procuratore generale, per sette imputati, giudicati con rito abbreviato, accusati di aver preso d’assalto il 4 dicembre 2016 il caveau dell’istituto di vigilanza Sicurtransport ubicato nella zona industriale al confine dei comuni tra Catanzaro e San Floro, riuscendo a portare via 8 milioni e mezzo dalla sede della società. In particolare il pg, davanti ai giudici della Corte di appello, ha invocato per Carmine Fratepietro 12 anni di reclusione; Matteo Ladogana 12 anni; Dante Mannolo,14 anni; Alessandro Morra 12 anni; Giovanni Passalacqua 14 anni; Leonardo Passalacqua 12 anni e 8 mesi e Pasquale Pazienza 12 anni di reclusione. Il giudice ha aggiornato l’udienza al prossimo 8 febbraio, giorno in cui inizieranno le arringhe difensive dei legali Salvatore Staiano, Stefano Nimpo, Francesco Catanzaro, Luigi Falcone e Aldo Casalinuovo.
Le accuse
Le accuse
Gli imputati rispondono a vario titolo di concorso in rapina aggravata, detenzione, porto illegale di armi anche da guerra, ricettazione, con l’aggravante della mafiosità per aver agevolato la ‘ndrangheta, “insistente nel territorio di Catanzaro, Mesoraca, San Leonardo di Cutro, Petilia Policastro e territori limitrofi”.
L’inchiesta “Keleos”
Le indagini che hanno portato all’operazione denominata “Keleos”, sono state coordinate dalla Procura distrettuale antimafia di Catanzaro e condotte dal Servizio centrale operativo della Polizia di Stato insieme alle Squadre mobili di Catanzaro e Foggia. Gli investigatori hanno accertato l’esistenza di uno stretto collegamento tra pugliesi della zona di Cerignola (Foggia), “specializzati” nel settore e basisti calabresi. Questi ultimi, secondo le ipotesi di accusa, si sarebbero occupati di reperire le informazioni dal basista e di procurare le auto ed il mezzo cingolato, oltre che della logistica della permanenza clandestina a Catanzaro del commando composto dai malviventi pugliesi. La rapina sarebbe stata pianificata da molto tempo e la banda armata entrata in azione aveva sfondato la parete di recinzione e il muro blindato del caveau grazie ad una grossa macchina cingolata dotata di martello pneumatico. I rapinatori, imbracciando fucili, si erano avvalsi di strumenti per schermare i luoghi dalle onde radio, facendo irruzione nel deposito tanto da costringere il personale di turno a rifugiarsi in una stanza appartata dell’edificio.