Si è celebrata in data ieri, dinanzi la seconda sezione penale della Corte di Appello di Catanzaro, l’udienza a carico di C.M., 54enne residente a Catanzaro, il quale era chiamato a rispondere della violazione del Testo unico in materia di spese di giustizia e del reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, per aver, secondo l’editto accusatorio. L’uomo aveva formulato istanza di ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato, nell’ambito di un precedente procedimento penale, dichiarando falsamente che il reddito della propria famiglia, composta anche dai familiari conviventi, ammontava a 12.980 euro.
Il reddito totale del nucleo familiare
Il reddito totale del nucleo familiare
Essendo risultato vero, di contro, sulla scorta dell’accertamento operato ex post dal Gruppo della Guardia di Finanza di Catanzaro, che il relativo nucleo familiare aveva prodotto un reddito complessivo per l’anno di imposta in rilievo 2015, pari ad 17.594,99 euro. In particolare, gli accertamenti della Guardia di Finanza avrebbero consentito di rilevare che C.M. aveva omesso di indicare le ulteriori somme di 2.272,54 euro e 2.442,45 euro riferibili alla di lui moglie. Tali conclusioni avevano indotto il gup del Tribunale di Catanzaro ad emettere, in seguito alla celebrazione del rito abbreviato condizionato, una sentenza di condanna a mesi 5 e giorni 10 di reclusione e 138 euro di multa.
I redditi della moglie
Il difensore dell’imputato, l’avv. Gregorio Casalenuovo del Foro di Catanzaro, tuttavia, non si è dato per vinto ed ha impugnato la predetta sentenza dinanzi la Corte di Appello per una serie di motivi: in primo luogo, la somma ulteriore non dichiarata riguarderebbe redditi percepiti dalla di lui moglie che confluivano in un conto corrente diverso e separato da quello dell’imputato, motivo per il quale lo stesso non avrebbe potuto conoscere con esattezza l’ammontare dei redditi della moglie, a maggior ragione se percepiti a titolo di TFR per prestazioni lavorative effettuate in anni precedenti. Tale circostanza, pure valorizzata dal difensore in primo grado, fa venir meno l’elemento psicologico del dolo generico, con conseguente necessità di emettere una sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato, come sostenuto da gran parte della giurisprudenza di legittimità. Ma vi è di più. Sulla base dell’esame dell’imputato e della produzione documentale effettuata dinanzi al gup di Catanzaro, il difensore era sicuro di poter ottenere un’assoluzione perché il fatto non sussiste, mancando gli elementi costitutivi del reato anche dal punto di vista dell’elemento materiale. Ed infatti, la Corte di Appello di Catanzaro ha dato ragione all’avvocato Gregorio Casalenuovo ed ha riformato il provvedimento di primo grado, assolvendo l’imputato con la formula terminativa più ampia dell’insussistenza del fatto, riservando il deposito della motivazione in giorni 90.