di Gabriella Passariello- Giustiziato per una relazione extraconiugale con la sorella di un altro affiliato, vietata dai codici arcaici della ‘ndrangheta. Ferito a colpi di arma da fuoco la sera del 18 marzo 2004, mentre si trovava in un noto bar di Pizzo, il 34enne Domenico Belsito morì due settimane dopo all’ospedale di Vibo Valentia. Il gup del Tribunale di Catanzaro Giuseppe De Salvatore per quell’omicidio ha inflitto nei confronti degli ideatori e promotori Nicola Bonavota 30 anni di reclusione (il pm aveva chiesto il carcere a vita) Francesco Fortuna 30 anni (il pm aveva invocato l’ergastolo), mentre ha assolto Pasquale Bonavota (nei cui confronti il pm aveva invocato l’ergastolo),difeso dal legale Tiziana Barillaro.Per il pentito Andrea Mantella, coesecutore materiale del delitto, 8 anni di reclusione, mentre il pm aveva chiesto al termine della requisitoria 7 anni e 2 mesi di reclusione. Il gup ha inoltre disposto per Bonavota, Fortuna e Mantella l’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici in stato di interdizione legale per la durata della pena, dichiarando l’inefficacia della misura cautelare in atto nei confronti di Pasquale Bonavota. E’ in corso invece il dibattimento per gli esecutori materiali del delitto Domenico Bonavota, ritenuto il capo dell’ala armata dell’omonima famiglia di Sant’Onofrio, Salvatore Mantella, cugino del collaboratore di giustizia e per Onofrio Barbieri, che per la Dda, avrebbe partecipato attivamente alle riunioni per la pianificazione dell’agguato, provvedendo a preparare armi e auto provento di furto per la condanna a morte di Belsito.
L’agguato al bar e l’auto bruciata
L’agguato al bar e l’auto bruciata
Domenico Belsito è stato gravemente ferito la sera del 18 marzo 2004 mentre si trovava in un noto bar di Pizzo. Era appena sceso dalla sua auto quando è stato raggiunto da numerosi colpi d’arma da fuoco da un commando che ha fatto subito perdere le proprie tracce. Poche ore dopo l’agguato, l’auto sulla quale viaggiavano i killer è stata trovata in fiamme dai carabinieri vicino un masseria a pochi chilometri di distanza. La vittima invece è morta l’uno aprile all’ospedale di Vibo Valentia dopo due settimane di agonia e nonostante i disperati tentativi dei medici di salvargli la vita. A sparare fu – secondo l’accusa – Francesco Scrugli, ucciso a Vibo nel 2012.
Logiche ‘ndranghetistiche per spartirsi i territori
La Direzione distrettuale antimafia, nonostante il lungo arco di tempo trascorso dall’efferato evento che scosse all’epoca la tranquilla cittadina napitina, ha individuato nei vertici della Locale Sant’Onofrio i mandanti e negli elementi dell’emergente gruppo criminale di Andrea Mantella (oggi collaboratore di giustizia) gli esecutori materiali del brutale omicidio, maturato nell’ambito di logiche di scambio, finalizzate a sancire l’alleanza tra i due sodalizi ‘ndranghetistici, o meglio nelle dinamiche interne ai clan, impegnati in una lotta fraticida interna alla famiglia di ‘ndrangheta dei Bonavota di Sant’Onofrio per definire la spartizione dei territori di competenza. Oltre all’omicidio gli imputati sono accusati di lesioni personali aggravate per il ferimento del cognato di Mantella, il 67enne Antonio Franzè, avvenuto a Vibo, colpito alla spalla destra da un arma da fuoco. Franzè doveva morire perché, secondo quanto emerso dall’inchiesta, avrebbe mancato di rispetto a Mantella sminuendone in città la sua reputazione.
Il collegio difensivo
Gli avvocati difensori, nel cui collegio compaiono, tra gli altri i legali Salvatore Staiano, (presente per delega in aula l’avvocato Vincenzo Maiolo Staiano), Sergio Rotundo e Nicola Cantafora attenderanno le motivazioni della sentenza per ricorrere in appello.