Infiltrazioni dei clan nel Comune sciolto dopo Rinascita-Scott: “Provvedimento legittimo”

Secondo i giudici emerge dalle indagini "un contesto generale di diffusa illegalità, connotato da reiterati e pesanti condizionamenti" da parte dei clan
Comunali Pizzo

Infiltrazioni delle cosche nelle attività dell’amministrazione comunale. Nessuna illegittimità nel provvedimento con il quale il Presidente della Repubblica, su proposta del Governo, decretò nel febbraio del 2020 lo scioglimento del Comune di Pizzo, in provincia di Vibo Valentia, per presunti condizionamenti da parte della ‘ndrangheta. Lo ha deciso il Tar del Lazio, respingendo il ricorso contro lo scioglimento proposto da alcuni ex assessori ed ex consiglieri del Comune del Vibonese. Lo scioglimento del Comune di Pizzo fu disposto nel febbraio del 2020 in seguito alla maxi operazione ‘Rinascita Scott’, condotta nel dicembre del 2019 dai carabinieri, su direttive della Dda di Catanzaro, contro alcune cosche di ‘ndrangheta del Vibonese. Nell’ambito dell’operazione fu arrestato, tra gli altri, l’allora sindaco di Pizzo, Gianluca Callipo, che era anche presidente di Anci Calabria. I firmatari del ricorso avevano contestato, sotto vari profili, la sussistenza di un quadro indiziario univoco e certo riguardo il condizionamento mafioso del Comune.

Contesto di diffusa illegalità nel Comune di Pizzo

Contesto di diffusa illegalità nel Comune di Pizzo

Secondo i giudici, però, “il quadro emergente dall’istruttoria svolta dall’autorità giudiziaria descrive un contesto generale di diffusa illegalità, connotato da reiterati e pesanti condizionamenti sull’Amministrazione comunale da parte dei clan malavitosi di quel territorio. Condizionamenti che hanno assunto, nel tempo, una pervasività e una ripetitività tali da condurre a una diffusa prassi d’illegalità alla base delle scelte politiche, ispirate da logiche clientelari, contiguità e parentele con ambienti controindicati, nei più svariati settori. Le circostanze rilevate in occasione degli accertamenti giudiziari e di polizia, confluite nella relazione prefettizia e in quella ministeriale, sono sintomatiche, inoltre, di specifiche cointeressenze tra gli esponenti politici e amministrativi dell’ente e le cosche locali, Cointeressenze che, in quanto tali, sono state ritenute idonee a suffragare il provvedimento adottato.

Frequentazioni tra funzionari comunali e affiliati ai clan

Sono emerse, infatti, talune circostanze significative tra cui le frequentazioni di amministratori e dipendenti comunali con esponenti di ambienti controindicati, il il sostegno elettorale di esponenti delle organizzazioni criminali locali, le ripetute illegittimità nelle procedure poste in essere dall’ente, la diffusa illegalità nei vari settori dell’Amministrazione comunale e l’indebita ingerenza degli organi politici sull’operato degli organi amministrativi”. Dagli atti giudiziari sarebbero emerse, inoltre, “criticità in molti settori e servizi dell’ente, rispetto alle quali si riscontra una sistematica violazione delle regole a salvaguardia della legittimità e della trasparenza dell’azione amministrativa”. Un contesto che, secondo il Tar, “denota come la cura dell’interesse pubblico connesso al mandato conferito agli amministratori sia stata del tutto omessa”.

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